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L’innovazione corre da Oriente

, di Pietro Masotti
Per Rodrigo Cipriani Foresio, alumnus Bocconi e general manager di Alibaba per il Sud Europa, la Cina detta le tendenze globali: dall’IA al live streaming fino alla logistica ultra-rapida. Per competere, le PMI italiane devono colmare gap culturali e organizzativi e investire in nuove competenze

Intelligenza artificiale, live streaming, logistica ultra-rapida, nell’e-commerce l'innovazione corre, seppure a velocità diverse nel mondo. Ma per capire da dove arrivano le novità e in quale direzione cresce il commercio digitale bisogna sempre rivolgere lo sguardo a Oriente, almeno dalla prospettiva italiana. In questo senso Rodrigo Cipriani Foresio, alumnus bocconiano oggi general manager di Alibaba Group per il Sud Europa, ha una visuale privilegiata potendo guardare con un occhio a quanto accade in anticipo in Cina e con l’altro allo scenario del Vecchio Continente.

Quali sono oggi i principali driver di sviluppo dell'e-commerce globale?

Non c’è una risposta sola, dipende dal luogo di cui parliamo. In Cina l'e-commerce è la punta avanzata del commercio, rappresenta quasi il 50% di tutto il retail e Alibaba conta un miliardo di clienti. Negli Stati Uniti siamo al 25%, in Europa al 20%, in Italia si ferma al 10%. In Cina non solo il mercato è il più vasto, ma anche il più all'avanguardia, basti dire che il 95% delle transazioni avviene da mobile.

Quali sono queste innovazioni che in Europa ancora non vediamo, o quasi?

Due o tre anni fa in Cina c'è stato il boom del live streaming: oggi è quasi impossibile vendere un prodotto senza che si mostri come utilizzarlo. Gli influencer sono diventati figure centrali, capaci di intercettare il pubblico giovane per conto dei brand, anche quelli del super lusso italiano, e possono incidere davvero sui numeri delle vendite. Un altro driver fondamentale è la logistica. In Oriente c'è una competizione molto accesa sulle consegne ultra-rapide, ormai il benchmark è riuscire a consegnare ovunque in 30-40 minuti. Per questo, all’interno del nostro gruppo, sono state create alleanze tra società che fanno servizi diversi, per far sì che, per esempio, lo stesso fattorino consegni a domicilio la pizza e magari anche la borsa acquistata online.

Alibaba però resta un marketplace puro. È un modello che regge bene anche in un contesto che cambia?

Assolutamente sì. Essere un marketplace puro significa che l'azienda che apre la sua vetrina digitale ha il pieno controllo su prezzi, spedizioni e promozioni. Noi forniamo la piattaforma, l'accesso a un miliardo di consumatori e i dati di supporto, ma il negozio resta del brand. Questo modello, nato in Cina, piace proprio perché non interferisce con le strategie delle singole marche e lascia alle imprese il pieno contatto con il cliente.

Le aziende italiane come recepiscono questa proposta? Sono pronte o preferirebbero un servizio “chiavi in mano”?

Questo è un tasto dolente perché, per anni, mi sono sentito chiedere dalle aziende europee quando avremmo aperto il marketplace in Europa. Ora che lo stiamo facendo ci accorgiamo che manca la preparazione. Chi fa e-commerce in Italia, in particolare, ha in mente il modello di Amazon, nel quale vende lo stock a un intermediario e lui fa tutto il resto. Il nostro modello richiede una gestione diretta, un team dedicato o un partner esterno. È necessario un cambio di mentalità che comporta più fatica, ma credo anche più benefici a lungo termine. Nelle aziende medio-grandi questa sensibilità è cresciuta e oggi più di 500 imprese italiane vendono con successo in Cina. Ma se scendiamo tra le PMI di calibro medium-small notiamo ancora grosse lacune, soprattutto per la mancanza di figure professionali chiave come export manager, esperti di logistica o e-commerce digital manager.

Per quali aspetti oggi viene già applicata l’IA e quali prospettive potrebbe dare allo sviluppo dell’e-commerce? 

In Cina l'IA è già pervasiva. Viene usata per generare contenuti di marketing, creando video complessi anche a partire da una semplice foto. Offre raccomandazioni d'acquisto altamente personalizzate, basate sulla cronologia di navigazione e acquisti dell'utente. È cruciale nel customer service e nell'ottimizzazione degli investimenti pubblicitari, suggerendo per esempio le keyword più efficaci.

Il Made in Italy è ancora attrattivo per il consumatore cinese?

Il consumatore cinese oggi è giovane, molto attento alla sostenibilità e ai prodotti eco-friendly. Ma mantiene la caratteristica di non avere loyalty, fedeltà, rispetto ai marchi. È sempre più preparato, legge le etichette, e la sua preferenza va conquistata ogni giorno. Dieci anni fa nel Paese erano assetati di prodotti occidentali, oggi hanno iniziato a sviluppare alternative locali di altissima qualità. Nel settore beauty i prodotti cinesi, giapponesi e coreani stanno già erodendo quote di mercato a quelli occidentali, e questo trend arriverà presto anche nel fashion. La competizione è più alta che mai.

Qual è il consiglio che darebbe a un'azienda italiana che vuole affacciarsi su un mercato come quello cinese?

La domanda che mi sento rivolgere più spesso è: “Se investo x, quanto guadagno?”. Ecco, questo è un approccio sbagliato. Una piattaforma come Alibaba non è solo un canale di vendita, ma un partner strategico. È uno strumento per comunicare, per dialogare con i giovani, per capire le tendenze che arriveranno. È una porta enorme su un mercato altrettanto gigantesco che, Alibaba o no, va comunque presidiato. Nel 2022 abbiamo pubblicato una ricerca, realizzata da SDA Bocconi e coordinata dal professor Carnevale Maffé, relativa all’impatto di Alibaba nei primi 10 anni in Italia. Circa 500 aziende erano operative sulla piattaforma ed esportavano 5.4 miliardi in Cina. Considerando che l'export italiano in Cina era 18 miliardi, significa che quasi un terzo passa da Alibaba. Ora stiamo aggiornando i dati, che pubblicheremo a breve, e sono tutti in crescita, ma restano comunque numeri piccoli se pensiamo che si tratta di meno del 5% dell’export globale dell'Italia e che la Cina è il secondo mercato mondiale. Ci sono margini di crescita grandissimi insomma. L’impegno, però, da parte delle aziende italiane deve essere a lungo termine, con un orizzonte di almeno tre anni. E non basta gestire tutto a distanza, perché i partner cinesi dimostrano di apprezzare di più chi investe nel loro Paese con una presenza fisica e risorse umane dedicate. Bisogna seminare, insomma, perché il terreno è fertile, i cinesi amano la nostra storia e la qualità dei nostri prodotti, ma dobbiamo dimostrare di essere preparati quanto loro.

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