
Con il basket si può
Una vita con il basket al centro, anche adesso che il basket non è la cosa più importante. Francesco Infante, 33 anni, di Foggia, una vita spesa da professionista sui campi, soprattutto di A2, di tutta Italia, è oggi il nuovo centro della squadra di Bocconi Sport in serie B interregionale ma, soprattutto, è uno studente del Master in Business Administration di SDA Bocconi School of Management. “Ho incominciato a giocare seriamente a basket a 16 anni. Perché l’ho scelto? Non so, tutti preferivano il calcio, sarà stato anche per i miei 204 centimetri”. Una carriera agonistica che ha toccato piazze importanti e storiche, come Bologna sponda Fortitudo, Roma, Roseto, Forlì e altre ancora, e un curriculum universitario di primo piano, con la laurea triennale in Lingue e Letterature straniere all’Università di Bari, la specialistica in Relazioni internazionali alla Luiss e ora il Master, all'insegna del motto “studio e sport insieme si può”. “Anzi si deve, o meglio si dovrebbe”, racconta Francesco, “perché praticare sport agonistico ti aiuta nello studio e frequentare l’università ti dà una marcia in più nello sport, che poi per alcuni anni è anche il tuo lavoro”.
Francesco entra più nel dettaglio, sfatando il luogo comune, secondo lui, che vede i due ambiti difficilmente compatibili. “Da atleta ho imparato a gestire lo stress”, spiega, “la responsabilità di dare sempre il meglio per la società che ti paga e per il pubblico che viene a vedere le partite. Così, in università, se un esame non va come avrei voluto non mi dispero, contestualizzo e sono certo che la prossima volta andrà meglio. Non mi lascio sopraffare dallo sconforto. Lo stesso nel lavoro extra basket, ci sono periodi no, ma poi passano. Ma lo scambio, chiamiamolo così, funziona anche al contrario”, prosegue Francesco, “l’università insegna ad apprendere, a diventare più ricettivi. E questo rappresenta un gran vantaggio anche in uno sport come il basket”. Francesco ha smesso con il basket professionistico a 28 anni e ha iniziato a lavorare, continuando comunque a giocare: “Giocherò fin che posso, ma nel contempo ho capito quali fossero i miei limiti e che non potevo vivere per sempre con il basket, l’Mba mi servirà anche per dare un upgrade alla mia carriera al di fuori del campo”.
Ma il basket occupa un altro posto importante nella vita di Francesco Infante. Anzi, tramite lui, in quella di molte altre persone che vivono in zone del mondo con molti problemi. Francesco è infatti direttore di Sports around the World, un’associazione nata nel 2011 dall’idea di alcuni allenatori di basket e che opera attualmente in cinque stati africani (Camerun, Ruanda, Repubblica Democratica del Congo, Tanzania e Swaziland). “Costruiamo impianti sportivi, in particolare campi da basket o polifunzionali, per migliorare le vite dei ragazzi e delle loro famiglie”, dice Francesco, “perché siamo convinti che lo sport unisca e aiuti ad appianare le divergenze più delle parole. Alcuni atleti cresciuti sui nostri campi sono diventati professionisti e adesso aiutano le loro famiglie e i loro villaggi. Lo sport unisce anche chi era diviso, il caso del Ruanda, un paese in grande crescita e sempre più impegnato anche nello sport (per esempio con i recenti Campionati Mondiali di ciclismo), è emblematico in questo senso”.
Sono già 25 gli impianti costruiti, ma non ci sono solo questi, l’opera di Sports around the World va anche oltre: “Abbiamo costruito in Camerun un orfanotrofio per bambini disabili, che in Africa sono spesso lasciati soli a se stessi”, riprende Francesco. “Mentre in Ruanda abbiamo lanciato il progetto Stoffa da campioni, per aiutare giovani ragazze sieropositive ed emarginate insegnando loro il mestiere di sarta. Molte sono state assunte da aziende locali, il primo passo per un pieno riscatto sociale. Poi, in Congo, siamo riusciti a costruire un bellissimo impianto sportivo lavorando anche con il Premio Nobel per la pace Denis Mukwege”. E poi ci sono le borse di studio a favore di studenti atleti che mantengano un buon rendimento scolastico. Una serie di iniziative che hanno grande impatto ma anche alti costi, perché gli impianti non vanno solo costruiti ma anche mantenuti e poi bisogna pagare gli stipendi di chi, sul posto, manda avanti le iniziative. Come gli allenatori, per esempio. “I fondi per mandare avanti i nostri progetti li raccogliamo in tre modi: attraverso cene ed eventi dedicati; grazie a donazioni di privati e aziende; tramite aste di cimeli sportivi di atleti e allenatori famosi. Alcuni nomi? Stelle Nba come Kawhi Leonard, Danilo Gallinari, Marco Belinelli, Andrea Bargnani, per esempio. O allenatori come Ettore Messina, Sergio Scariolo, Vasilis Spanoulis. Ma anche campioni di altri sport, come Gigi Buffon”, continua Francesco. “Un cimelio che ci fatto raccogliere molti soldi? Ricordo che Scariolo, che era assistente allenatore dei Toronto Raptors che poi vinsero l’anello Nba, ci aveva procurato alcune maglie a inizio stagione. Dopo la vittoria del titolo il loro valore balzò alle stelle”.