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Il climate protection gap è in crescita e interi territori rischiano di diventare “non assicurabili”. Giulio Terzariol (Generali e Alumnus Bocconi) indica le trasformazioni necessarie per garantire accesso, equità e resilienza nella nuova normalità climatica

Chi si occuperà di assicurare il mondo, quando i rischi climatici diventeranno la nuova normalità? È una domanda che riguarda non solo le compagnie assicurative, ma l’intero equilibrio tra Stato, mercato e cittadini. Perché il rischio, quando non è più mutualizzabile, si trasforma in esclusione. Giulio Terzariol, CEO Insurance di Generali e alumnus Bocconi, conosce bene la portata della sfida. Il cosiddetto climate protection gap - ovvero la distanza crescente tra le perdite causate da eventi naturali estremi e i danni effettivamente coperti - ha raggiunto il 57% a livello globale e rischia di ampliarsi ulteriormente, rendendo di fatto “non assicurabili” intere aree geografiche. “Il principio di mutualità è sotto pressione”, afferma Terzariol. E se non si interviene con strumenti nuovi, “esiste un rischio di deriva anti-solidaristica”, che potrebbe trasformare la protezione in un privilegio riservato a pochi. In questa intervista, Terzariol traccia una rotta di trasformazione profonda: dalle tecnologie per il pricing climatico alla co-progettazione di soluzioni pubblico-private, passando per la prevenzione, gli investimenti sostenibili e una nuova governance del rischio.

Negli ultimi anni abbiamo assistito a una crescita vertiginosa dei danni da eventi climatici estremi. C’è chi parla di “climate protection gap”: un divario crescente tra i danni subiti e quelli effettivamente coperti. Come evolve questo divario? 

Nel 2024 le perdite economiche globali dovute ai disastri naturali hanno raggiunto 318 miliardi di dollari (fonte: Swiss Re Institute, Sigma Report 2025) e solo 137 miliardi erano coperte da assicurazione, con un tasso di crescita reale annuo del 5-7%. Un gap di protezione che si attesta ancora al 57%. Le stime più recenti prevedono che le perdite ammonteranno a 12,5 trilioni entro il 2050, che si tradurranno in 1,1 trilioni di dollari in costi extra per i sistemi sanitari (fonte: WEF, 2024). Il cambiamento climatico influisce sull’ambiente, sull’intera società, le infrastrutture e la vita quotidiana. 

In questo contesto, quali sono i limiti del modello assicurativo tradizionale? 

Il principio di mutualità è sotto pressione a causa dell'aumento in termini di frequenza, intensità e correlazione tra gli eventi estremi. Allo stesso tempo, il mercato riassicurativo, leva storica di stabilizzazione, vive una fase di hardening con premi in aumento e maggiore selettività. È essenziale rafforzare il "primary business" con sottoscrizione disciplinata, tariffe adeguate e gestione diversificata del portafoglio. Accanto alle coperture tradizionali stanno emergendo soluzioni alternative che includono polizze parametriche, Cat bond e modelli di co-design con il settore pubblico per condividere i rischi estremi e sistemici.

In che modo le compagnie assicurative stanno adattando il pricing e i modelli previsionali all’intensificarsi del rischio fisico? 

Il pricing assicurativo sta evolvendo da un approccio basato su dati storici a modelli con scenari climatici futuri. Le nuove tecnologie supportano l’utilizzo di dati che fino a pochi anni fa non erano accessibili, come i dati sulle caratteristiche fisiche degli immobili. Al contempo, la capacità di analizzare dati sempre più complessi permette di stimare in modo accurato i potenziali danni futuri, personalizzando le tariffe in base alla vulnerabilità specifica degli asset. L’obiettivo non è solo garantire una tariffazione tecnicamente adeguata, ma comprendere meglio le dinamiche alla base degli eventi climatici e promuovere azioni di prevenzione che mitighino l’impatto di un evento naturale.

Nel 2024 le perdite economiche globali dovute ai disastri naturali hanno raggiunto 318 miliardi di dollari (fonte: Swiss Re Institute, Sigma Report 2025) e solo 137 miliardi erano coperte da assicurazione, con un tasso di crescita reale annuo del 5-7%. Un gap di protezione che si attesta ancora al 57%. Le stime più recenti prevedono che le perdite ammonteranno a 12,5 trilioni entro il 2050, che si tradurranno in 1,1 trilioni di dollari in costi extra per i sistemi sanitari (fonte: WEF, 2024).
Giulio Terziariol

Che ruolo possono giocare le compagnie nella riduzione del gap di protezione? 

Il nostro settore ha un ruolo chiave grazie all’esperienza nella gestione del rischio, negli investimenti a lungo termine e nella vicinanza al cliente. L’industria assicurativa è ben posizionata per mobilitare risorse verso infrastrutture sostenibili, energia rinnovabile e innovazioni tecnologiche. Tuttavia, sono necessari quadri normativi più chiari, parità di condizioni e un framework che riconosca l’orizzonte temporale di lungo termine delle assicurazioni.

In uno scenario di rischio crescente, sempre più territori vengono considerati “non assicurabili” secondo criteri attuariali e il concetto di mutualità è sotto pressione. Come gestire il rischio di esclusione assicurativa ed evitare che la protezione diventi un privilegio per pochi?

Esiste un rischio di deriva “anti-solidaristica” in mercati esposti a eventi climatici estremi, come alcune zone degli Stati Uniti, con tariffe che includono sussidi impliciti per aree ad alto rischio. Questo può aumentare la "selezione territoriale" e la polarizzazione. Per evitare che la protezione assicurativa diventi un privilegio, si possono attivare leve tecniche e istituzionali come pricing dinamici, misure di prevenzione con fondi pubblici, e soluzioni di pooling pubblico-privato per mutualizzare i rischi catastrofali.

Nel settore assicurativo si parla molto di “prevenzione” e “resilienza”. Ma come si muovono le compagnie per incentivare comportamenti più sostenibili e ridurre l’esposizione al rischio? 

Il settore assicurativo europeo gestisce €9.5 trilioni in asset (fonte: Insurance Europe), orientando investimenti verso progetti di transizione climatica e resilienza. È necessario adottare soluzioni collaborative per proteggere persone, infrastrutture ed economie che vadano oltre i modelli tradizionali di trasferimento del rischio. Sfruttare le tecnologie migliorerà la valutazione dei rischi climatici e la resilienza. Così come partenariati pubblico-privati sono essenziali per modelli di copertura assicurativa più accessibili, soprattutto per le PMI. Inoltre, gli assicuratori possono implementare meccanismi di mitigazione del rischio che includono riassicurazione e Cat Bonds.

Può farci alcuni esempi di iniziative e progetti avviati da Generali?

Il Gruppo ha avviato una serie di iniziative tecniche mirate, da un lato, a potenziare la propria capacità di affrontare eventi naturali estremi, attraverso l’ottimizzazione dei processi di sottoscrizione e della gestione dell’esposizione al rischio. Parallelamente, Generali si impegna nell’assistenza ai clienti, offrendo soluzioni concrete per la prevenzione dei rischi e la mitigazione delle perdite. In questo contesto, abbiamo creato un centro di eccellenza – il Climate Hub – per rafforzare le competenze in ambito Nat Cat, sviluppando una comprensione dettagliata degli impatti attesi dei rischi Nat Cat sugli asset assicurati e garantendo che questa comprensione sia adeguatamente applicata lungo tutta la value chain assicurativa. Guardiamo poi con attenzione prioritaria alle PMI, supportando la loro resilienza contro i rischi climatici con lo sviluppo di soluzioni di gestione del rischio olistiche che combinano strumenti di trasferimento e mitigazione del rischio. 

Quali trasformazioni strutturali immagina per il settore nei prossimi dieci anni, se vogliamo che resti sostenibile, inclusivo e capace di far fronte alla nuova normalità climatica? 

Una prima leva è il maggiore accesso a dati standardizzati su hazard e damage, abilitato da una tassonomia comune a livello europeo che migliorerebbe la valutazione del rischio fisico e le strategie di sottoscrizione. In secondo luogo, lo sviluppo di politiche di loss prevention sostenibili basati sulla collaborazione tra assicuratori, regolatori e governi, per supportare famiglie e PMI nell’adozione di misure di adattamento e riduzione del rischio. Infine, la creazione di un ecosistema integrato con governance condivisa e dati aperti che garantirebbe la resilienza sistemica alla nuova normalità climatica.

La collaborazione tra pubblico e privato è spesso invocata ma raramente concretizzata. Esistono modelli virtuosi da cui l’Europa dovrebbe prendere esempio in tema di protezione dal rischio climatico?

Le partnership tra privati ed enti pubblici sono essenziali per promuovere benessere, ridurre diseguaglianze e aumentare la resilienza climatica. Generali collabora da tempo con il Programma delle Nazioni Unite per lo Sviluppo per rafforzare la resilienza finanziaria delle comunità vulnerabili e delle MPMI: insieme sviluppiamo ricerche, strumenti e soluzioni assicurative innovative, promuovendo soluzioni di resilienza olistiche che combinano trasferiento e gestione del rischio.

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