Tentarmi è vanità, il secondo romanzo di Filippo Annunziata
Venezia e se stesso. C’è qualcosa di autobiografico nel secondo romanzo di Filippo Annunziata, professore ordinario di diritto dei mercati finanziari presso il Dipartimento di studi giuridici dell’Università Bocconi, a cominciare dalla sua città del cuore, nella quale trascorre buona parte dell’anno, “come sospeso in un altro tempo e in un’altra dimensione”, dichiara Annunziata descrivendo l’atmosfera magica che si respira nella città lagunare, nonostante tutte le difficoltà e i problemi noti. Tentarmi è vanità (Edizioni La vita felice) si svolge in questo ambiente unico e affascinante: “Racconta quello che la maggior parte dei viaggiatori prova quando il treno da Mestre attraversa il ponte della Libertà, passa la laguna e si entra in un'altra dimensione. Sospeso tra la terra, il cielo e l'acqua, sullo sfondo si intravedono a sinistra le montagne, sulla destra si intravede la laguna sin verso il Lido e il treno sembra proprio sospeso a mezz'aria. E racconto quella che in molti mi hanno confermato essere una esperienza trasformativa che nel giro di pochi minuti ti porta in un luogo dove il tempo, le persone, l'esperienza sono molto lontani da quelli che viviamo in una grande metropoli come Milano”, dice Annunziata.
Romanzo a tutto tondo
Un romanzo, questo, molto diverso dal primo, Obiter Dicta, ambientato nel mondo giuridico e forse più indirizzato a chi ha una solida formazione di questo tipo. “Tentarmi è vanità è un romanzo completo, a tutto tondo, che racconta due storie che si intrecciano e che hanno come protagonisti due giovani ricercatori: il primo arrivato a Venezia da Milano per studiare i teatri d’opera veneziani del ‘600; il secondo, braccio destro del direttore delle Gallerie dell’Accademia, impegnato in un progetto di tokenizzazione di quello che è probabilmente il quadro più importante del Rinascimento veneziano, la Tempesta di Giorgione”. Le due storie, che si svolgono in una Venezia sospesa tra realtà e sogno, e che fanno da sfondo a una trama di intrecci affettivi, trattano un tema comune: il rapporto tra arte, mercato e tecnologie. E qui c’è un’altra parte importante di Filippo Annunziata, il suo amore per la musica, il teatro e l’opera in particolare, oltre a quello più generale per l’arte.
Giuseppe Verdi il grande ‘litigator’
E, questo un po’ magari sorprende, Annunziata sono ormai molti anni che si dedica agli studi sul rapporto tra diritto e opera, grazie alla sua formazione di musicologo e di giurista: “Nei primi mesi del 2026 dovrebbe uscire un mio lavoro abbastanza innovativo che è una fotografia, un racconto, di una serie di grandi casi giudiziari che hanno costellato la storia del teatro d'opera e che hanno visto come protagonisti compositori, librettisti, gestori di teatri, tra cui ad esempio Verdi, Donizetti, grandi autori francesi, fino a questioni più recenti che lambiscono il contenzioso che riguarda, ad esempio, l'utilizzo dell'intelligenza artificiale, la clonazione delle voci dei cantanti, e altre che consentono di leggere in una chiave interdisciplinare lo sviluppo della storia del teatro d'opera e dei suoi meccanismi produttivi e di circolazione”, spiega Filippo Annunziata. Che racconta anche un aneddoto su una delle figure più importanti del panorama operistico italiano: “Pochi ricordano che Giuseppe Verdi è stato un grande litigator, ha fatto e subito cause ripetutamente, soprattutto in Francia, sia nel tentativo di imporsi per farsi riconoscere il pagamento dei diritti d’autore, sia per esplorare percorsi di sviluppo e di scrittura dei suoi lavori che gli consentissero di incassare somme che altrimenti non sarebbero state pagate in virtù della legislazione che all'epoca proteggeva in maniera alterna gli autori”.
Giurista e umanista, un rapporto molto stretto
Un romanzo, quindi, che ha numerosi riflessi autobiografici. Voluti? “Direi di no”, spiega Annunziata, “non ho voluto parlare di me, credo che non sarei nemmeno in grado di farlo. Non saprei, per esempio, scrivere un’autobiografia. Il dato personale, quando c'è, emerge spontaneamente nella mia scrittura”. Non è infrequente il caso di giuristi che scrivono opere al di fuori di quelle che concernono il proprio campo di studi: poesie, narrativa, saggistica. Come mai? “Il rapporto tra giurista e umanista è necessariamente stretto”, riprende Annunziata, “nella storia è frequentissimo il caso di giuristi diventati musicisti o letterati. Credo che il giurista chiuso nel suo mondo un po’ ne soffra, al contrario la curiosità per la musica, l’arte, la letteratura, per qualcosa di più ampio fanno di un giurista un umanista completo. Per quanto ho appreso dalla mia esperienza, i grandi giuristi sono sempre anche grandi umanisti”.