
Vivete a pieno l’esperienza universitaria. Parola di vescovo
Se gli si chiede un aneddoto relativo al periodo vissuto da studente in Bocconi, Michele Tomasi ricorda quando chiese al suo relatore, Stefano Zamagni, quanto dovesse essere lunga la tesi: “Lui prese i due volumi dell’elenco telefonico di Milano e disse: ‘Se vuole farla lunga prenda questi e li rileghi’, aggiungendo: ‘La tesi dev’essere lunga quanto basta’. Fu una lezione di vita che non dimenticherò mai”. Michele Tomasi è oggi il vescovo di Treviso, una carica che ricopre dal 2019, ed è conosciuto come il vescovo ‘bocconiano’. Frutto di una passione per gli studi filosofico-economici che gli hanno fatto scegliere il Des, laureandosi nel 1991, e di una vocazione sbocciata pienamente un po’ tardi, solo sul finire del percorso universitario, come ricorda in questa intervista in occasione dei Welcome Days.
Sul finire dell’estate le matricole arriveranno in Bocconi per iniziare un nuovo percorso. Che messaggio vuole rivolgere loro?
In Bocconi ho vissuto anni bellissimi, sia a livello di studi sia a livello di formazione come persona. Di studio, per quanto ho appreso, di formazione grazie al continuo confronto con i miei compagni di studi e con i professori. Direi ai ragazzi di aprirsi, di confrontarsi, di cogliere pienamente tutte le opportunità che la Bocconi offre, anche quei corsi opzionali che non sono attinenti al proprio percorso di studi ma che contribuiscono ad arricchirti come essere umano. E di confrontarsi anche con i professori. In università in genere le persone hanno un atteggiamento di apertura, di predisposizione al confronto e all’accoglienza delle posizioni altrui non facile da trovare altrove.
Un altro tema a lei caro è quello dell’esperienza universitaria fuori sede.
Sì. Quando me lo chiedono, io consiglio sempre di andare a studiare in un’altra città, in un’altra regione, anche all’estero. In Veneto abbiamo ottime università, ma l’esperienza fuori sede è più completa, più totalizzante. Essere fuori sede ti spinge ad allacciare rapporti, a vivere e a condividere. Restare a casa spinge invece a isolarsi.
I ragazzi di oggi in che cosa si differenziano da lei e dai ventenni di allora?
Ho spesso contatti con giovani laureati e studenti universitari, anche della Bocconi. Sono molto bravi, hanno molti più strumenti di quanti ne avessimo noi, penso a tutta la tecnologia di cui possono disporre, hanno aspirazioni ideali molto forti. Ma c’è anche il rovescio della medaglia. Il fatto di avere tutto ‘a portata di telefonino’ porta a isolarsi, a far emergere il proprio lato individualistico. Noi eravamo più istintivamente capaci di aggregarci, di stare insieme, di formare gruppi, sia di studio sia relativi alle proprie passioni. Spesso vedo ragazzi che hanno tanto tempo da impiegare ma non riescono a farlo insieme. Per questo consiglio l’esperienza fuori sede, per avere una ragione ancor più forte a unirsi e condividere.
E a questo proposito le piace ricordare un altro aneddoto…
Proprio quando ero io in Bocconi venne decisa l’apertura serale della biblioteca, fino alle 23. Soprattutto in occasione di esami imminenti divenne non solo il luogo per trovarsi a studiare insieme, ma anche quello per programmare altre attività, come per esempio organizzarci per comprare i biglietti per un concerto.
Rispetto a quando studiava lei, oggi la è un’università pienamente internazionale, una comunità ampia e diversificata: per cultura, esperienze e anche credo religioso…
Questa è un’opportunità enorme per i giovani. In università c’è l’occasione di instaurare un dialogo più fecondo tra le persone, c’è più possibilità di conoscersi, di rispettarsi e di dialogare. Io penso che se una persona ha un’identità forte dal punto di vista religioso ha meno paura di incontrare un'altra persona che ha anch’essa un’identità forte. Lo scontro avviene quando vi è una parte debole che ha paura dell’altro.
Ci parli della sua vocazione. Quando si manifestò pienamente?
Avevo avuto già una sensazione alle medie. Ne parlai con il mio parroco, che mi consigliò di pensare alla scuola, alla mia vita, e di non avere fretta. Se ne sarebbe parlato più avanti. E infatti sono andato avanti con la mia vita normale fino quasi al termine dell’università. A Milano vivevo in un pensionato della Diocesi, dove avevo modo di confrontarmi anche sulla fede. Poi mi sono laureato, ho svolto il servizio civile e, a 27 anni, sono entrato in seminario a Bressanone.
Se non avesse seguito la vocazione, cosa farebbe adesso Michele Tomasi?
La mia ambizione, quando frequentavo la Bocconi, era intraprendere la carriera accademica. Avrei fatto esperienze, magari un periodo di studi all’estero, negli Stati Uniti o in Germania, poi, compatibilmente con le mie capacità e inclinazioni, avrei preso una qualche specializzazione. Mi sono laureato con una tesi di storia del pensiero economico, credo che quello sarebbe stato il mio ambito. Sì, probabilmente Michele Tomasi oggi sarebbe un economista.