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Quando la cura peggiora i sintomi

, di Barbara Orlando
Per Alessia De Stefani, economista al Fondo Monetario Internazionale e alumna Bocconi, il rialzo dei tassi d’interesse può avere effetti controintuitivi sui prezzi degli affitti, aggravando il costo della vita per molte famiglie

Quando le banche centrali alzano i tassi per raffreddare l’economia, l’obiettivo è contenere i prezzi. Ma nel mercato immobiliare l’effetto può essere l’opposto. “In molte città, l’aumento dei tassi ha escluso tanti potenziali acquirenti dal mercato della casa, costringendoli a restare in affitto. Questo ha fatto salire i canoni, rendendo la vita più difficile per tutti gli inquilini”, spiega Alessia De Stefani, Economista nella Divisione Macro-Finanziaria del Dipartimento di Ricerca del FMI. Un paradosso che mostra quanto sia complesso il legame tra politica monetaria e dinamiche immobiliari.

Nel suo studio “Missing Home-Buyers and Rent Inflation” mostra come l’aumento dei tassi d’interesse possa spingere le persone fuori dal mercato immobiliare, facendo salire gli affitti. Com funziona questa dinamica?

Quando i tassi d’interesse aumentano, come è successo negli ultimi anni, il costo mensile di un mutuo sale. Per molte persone – soprattutto per chi affitta e vorrebbe acquistare casa per la prima volta – questo aumento rende impossibile ottenere un mutuo. Questi potenziali acquirenti, non potendo comprare casa, restano nel mercato degli affitti, aumentando la competizione e riducendo l’offerta di appartamenti e case disponibili, con il risultato di far salire i canoni. Nelle città dove molti acquirenti alle prime armi sono stati esclusi dal mercato, l’aumento degli affitti è stato particolarmente marcato. In sintesi, tassi d’interesse più alti allontanano alcune persone dall’acquisto della casa, che si riversano sul mercato degli affitti. Questa pressione aggiuntiva fa aumentare i prezzi, rendendo la vita più difficile sia per i nuovi che per i vecchi inquilini.

Alzare i tassi d’interesse dovrebbe raffreddare la domanda e ridurre l’inflazione. Ma nel mercato degli affitti sembra accadere il contrario. Quali rischi comporta questo per le banche centrali?

Una delle implicazioni di questa analisi – anche se ci tengo a sottolineare che si tratta di opinioni personali basate sulla mia ricerca in corso, e non riflettono in alcun modo le posizioni dell’FMI – è che una politica monetaria restrittiva può, inavvertitamente, aumentare l’inflazione complessiva, almeno nel breve periodo. Questo perché affitti e affitti equivalenti alla proprietà rappresentano una quota importante del paniere del CPI (Indice dei Prezzi al Consumo) negli Stati Uniti e in molte altre economie avanzate. Di conseguenza, l’aumento dei canoni può avere un impatto significativo sull’inflazione generale. È importante sottolineare che nel lungo periodo questi effetti dovrebbero attenuarsi, poiché l’offerta di immobili in affitto dovrebbe adeguarsi all’aumento della domanda. Negli ultimi anni, infatti, abbiamo assistito a un notevole incremento nella costruzione e riconversione di unità abitative a uso locativo nelle città statunitensi, proprio in seguito al balzo degli affitti.

Nei Paesi dove i mutui sono prevalentemente a tasso fisso, la trasmissione della politica monetaria è più debole. In che modo la struttura del mercato ipotecario incide sull’impatto dei rialzi dei tassi sull’inflazione?

Esiste una vasta letteratura che dimostra come la struttura dei mercati ipotecari e immobiliari domestici influisca sulla velocità e sull’intensità della trasmissione della politica monetaria. Questa letteratura mostra, per esempio, che alti tassi di proprietà immobiliare e di indebitamento delle famiglie rendono le famiglie più sensibili ai cambiamenti dei tassi d’interesse, facilitando la trasmissione della politica monetaria. Anche la composizione del mercato ipotecario conta: una forte prevalenza di mutui a tasso fisso protegge i consumatori dagli aumenti dei tassi, perché chi ha un mutuo fisso non “sente” immediatamente l’aumento dei tassi nei pagamenti mensili. In recenti studi, io e i miei colleghi abbiamo mostrato come questo sia un fattore chiave che determina la forza della trasmissione monetaria sui consumi familiari, sia tra Paesi sia nel tempo.

L’inflazione non è solo disuguale tra gruppi di reddito: varia anche tra regioni. Cosa sappiamo su come cambia l’inflazione, soprattutto quella legata all’abitazione, tra aree urbane e rurali?

In generale, i prezzi delle case nelle aree urbane tendono a essere più volatili e sensibili ai cambiamenti nelle condizioni del credito rispetto alle aree rurali. Una delle ragioni è che nelle città l’offerta abitativa è più rigida: costruire è più difficile rispetto alle aree rurali, per via della regolamentazione, delle restrizioni sull’uso del suolo e dei vincoli geografici. Ciò significa che, quando i tassi dei mutui calano e aumenta la domanda di abitazioni, l’offerta nelle aree urbane non riesce a stare al passo, facendo salire i prezzi. Le regioni che crescono di più durante un boom sono anche quelle più esposte a forti correzioni, quando il ciclo si inverte. Le restrizioni all’offerta abitativa possono inoltre portare a un aumento più marcato degli affitti nelle città durante una fase restrittiva, come spiegato in precedenza. Un altro fattore rilevante è che gli acquirenti urbani dipendono maggiormente dai mutui, anche perché le case in città sono generalmente meno accessibili. Ciò rende l’attività di acquisto (e i prezzi delle case) più sensibili ai tassi d’interesse e al ciclo economico.

Come formano le proprie aspettative d’inflazione gli acquirenti e gli investitori nel mercato immobiliare? 

Ormai esistono molte evidenze empiriche e teoriche che mostrano come le persone formino le aspettative sui prezzi delle case basandosi soprattutto sulle esperienze recenti e personali, più che su altre fonti informative. Questo significa, per esempio, che quando osservano un aumento prolungato dei prezzi, tendono a diventare molto ottimiste sulla crescita futura, sottovalutando il rischio di un’inversione del mercato. Questa dinamica può talvolta alimentare comportamenti speculativi e contribuire alla crescita dei prezzi, soprattutto quando aumenta la quota di investitori che acquistano in previsione di futuri guadagni. Questo meccanismo può in alcuni casi innescare fasi di boom e bust, in cui le aree che hanno registrato i rialzi più forti oltre i valori fondamentali sono anche quelle che poi subiscono le correzioni più violente.

 

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