
Per un futuro pieno di idee vincenti
L’Italia è ottava al mondo per Pil, ma solo 33esima per valore dei suoi unicorni. Il divario tra eccellenza scientifica e debolezza imprenditoriale si misura in idee che non maturano al di fuori degli atenei, o che non crescono abbastanza per affrontare il mercato. In un Paese dove si investe poco in ricerca e sviluppo, sia pubblica che privata, e dove il trasferimento tecnologico dalle università alle imprese è ancora episodico, manca un vero motore di sistema per l’innovazione. Per contribuire a colmare questo vuoto è nata TEF – Tech Europe Foundation, promossa da Fondazione Politecnico di Milano, Università Bocconi, Fondazione ION e FSI, con l’obiettivo di sostenere la ricerca fondamentale e applicata, diffondere cultura imprenditoriale e dare slancio alle startup fin dalle fasi più iniziali. “I capitali non mancano mai per buone idee: da noi ce ne sono troppo poche, non maturano sistematicamente, e quando nascono sono spesso troppo deboli per sopravvivere”, osserva Luca de Angelis, alumnus Bocconi e ceo della Fondazione. “Siamo solo agli inizi”, precisa de Angelis. “Abbiamo costruito un primo team, sviluppato l’approccio di intervento e costruito i primi programmi di ricerca: abbiamo già finanziato borse di dottorato e postdoc per oltre 30 ricercatori che in autunno arriveranno negli atenei e ne finanzieremo 70 entro l’anno. Inoltre, presto daremo il via a TEF Ignition, il programma educativo pensato per diffondere la cultura imprenditoriale tra studenti triennali e magistrali e cominceremo a guardarci in giro per capire se ci sono startup interessanti da sostenere.
A regime quale funzione svolgerà TEF?
TEF sarà il segmento che, a nostro avviso, manca nel sistema. Qualcuno che viene prima dei Venture Capital e che si occupa di alimentare l’ecosistema dell’innovazione aiutando a generare più idee che nascono, crescono, si sviluppano e arrivano a maturazione. La nostra intenzione è arrivare il più presto possibile, con le università, a stimolare nei giovani le idee imprenditoriali perché queste tornino a manifestarsi in gran numero. E lo faremo attraverso tre grandi pillar di intervento: il sostegno alla ricerca, sviluppando un modello di finanziamento che ci porti a selezionare le idee perché genereranno “spillover”; la formazione imprenditoriale per ragazzi, per metterli a confronto con responsabilità e decisioni fin da subito e abbassare l’età media del fallimento; e i programmi per le startup.
Prima ancora che la difficoltà di trasformare le startup in imprese, dunque, in Italia abbiamo un problema di volume di idee?
È così, lo conferma anche la Banca d’Italia nella sua fotografia sul Venture Capital: in Italia si fa poca R&S sia a livello pubblico che privato e c’è poco trasferimento tecnologico dalle università alle aziende. E questo spiega perché – nonostante un’eccellente produzione scientifica – manchino idee imprenditoriali in partenza, non c’è ancora una sistematicità nel processo di innovazione come a Monaco, a Zurigo o a Londra. Al campus Station F di Parigi arrivano mille nuove startup all’anno, in Italia ce ne sono circa 12mila registrate in totale, il 9,5% in meno rispetto al 2023 (startup innovative registrate, 4° trimestre 2024 vs 4° trimestre 2023, dati MIMIT).
Da dove comincia TEF per sanare questo gap?
Dalle università, perché è vero che non si sviluppa tecnologia solo negli atenei, ma è altrettanto vero che nessun sistema dell’innovazione deep tech può prescindere dalle università. L’università è sempre il centro dell’innovazione. Il sistema accademico deve però essere contaminato e, accanto agli scienziati, devono essere create figure che pensino allo sviluppo imprenditoriale delle società. Non vogliamo che gli Atenei si trasformino in fabbriche, ma aiutare la ricerca a fare il suo mestiere e, nel contempo, creare un percorso perché qualche iniziativa si trasformi in un’azienda. Mentre sosteniamo le migliori idee con il finanziamento alla ricerca, cerchiamo quindi i futuri founder che possano portare avanti queste idee. Il programma TEF Ignition, destinato agli studenti dei primi anni, è il primo passo di questo percorso. Vogliamo dare questo imprinting ai ragazzi fornendo poche nozioni teoriche e molta esperienza pratica: daremo 2mila euro di budget a un team di ragazzi perché possano sviluppare praticamente una loro idea imprenditoriale. Lasceremo che si confrontino con tutti i problemi reali che ne derivano, seppure in scala ridotta. Ci saranno forme di tutoring e incontri con founder di successo, ma è prevista anche la possibilità di fallire. E di riprovarci. I talenti emergenti da Tef ignition accederanno a percorsi di mentorship più completi e complessi. A regime finanzieremo 200 team all’anno, fino a mille studenti di Bocconi e Politecnico.
Tra le prime borse di studio per doc e post doc già assegnate, invece, che progetti avete selezionato?
Abbiamo puntato sia su ricerche pure di frontiera sia su lavori che migliorino l’esistente, per esempio facendo fare un passo in avanti ad alcuni medical devices che sono già sul mercato, e su progetti che vadano “More than Moore”, ovvero oltre la legge di Moore sulla microelettronica, affrontando i colli di bottiglia legati alle dimensioni o al consumo energetico dei circuiti. Ma ci sono anche ricerche più sperimentali, per esempio, per capire come creare un sistema energetico al di fuori della Terra. Anche in questo caso è solo il primo nucleo di un programma che prevede di offrire oltre 200 borse di dottorato e 60 borse post-doc.
Fino a che punto della loro crescita TEF finanzierà le startup?
L’intenzione è di arrivare con le startup fino al seed. Opereremo in sinergia con PoliHub e B4i – Bocconi for Innovation. In Italia manca un meccanismo di “certificazione” per le startup. Non intendo in senso tecnico, ma figurato: un luogo che aiuti gli investitori a interpretare cosa succede in Italia, che semplifichi la selezione delle realtà su cui investire e garantisca la loro provenienza o la loro genesi.
TEF punta più a valorizzare talenti italiani o ad attirare qui gli studenti stranieri?
È una falsa dicotomia, il sistema migliore è eterogeneo: uno arriva da un paese, uno dall’altro e insieme creano qualcosa qui. La sfida è proprio nel riuscire a fare in Italia quello che accade altrove nelle grandi scuole come il centro per l’innovazione UnternehmerTUM di Monaco, l’Eth di Zurigo, l’Imperial a Londra, il Mit a Boston… Una delle ragioni per cui l’Italia partecipa poco al mondo dell’innovazione europeo è perché non ci mettiamo a confronto con quel mondo, cioè non ci sono esempi di innovazione europea da noi. Il successo per TEF non sarà tanto certificato dal numero di statup italiane vendute a un Venture Capital di Monaco ma nel numero di ragazzi di Monaco o di Parigi che scelgono di venire qui a sviluppare il proprio progetto.
Laurea in Bocconi, doppio master ad Harvard, ha lavorato come analista finanziario, ha ricoperto incarichi pubblici di rilievo… che cosa l’ha spinta ad accettare la guida di TEF?
In TEF ho visto tutti gli ingredienti per riuscire a costruire una funzione che non si sostituisca all’ecosistema dell’innovazione, ma che si integri con questo per farlo funzionare meglio: ci sono università forti, capitale paziente, il ruolo della camera di commercio e la volontà di dialogare tra tutti questi soggetti parlando la stessa lingua. Se l’Italia oggi non ha gli stessi risultati economici di Germania o Francia e se ferma nella produttività da 20 anni, è anche perché ha poche grandi imprese tecnologiche. Questo aspetto ha un impatto reale sulla vita professionale, per esempio, della mia generazione, sui redditi medi che restano bassi o sul mercato del lavoro stagnante. Io non riesco a rassegnarmi a questa situazione e credo fermamente che serva un’operazione di rilancio che agisca come uno shock esogeno per costringerci a metterci in dialogo con il mondo da pari anche su questi argomenti. Questo è l’impatto che TEF può avere e che mi fa pensare di essere oggi nel posto dove vorrei stare.