
Oltre l’aiuto umanitario: il nuovo ruolo delle ONG nello sviluppo locale
Nel contesto sempre più complesso dell’assistenza umanitaria e dello sviluppo internazionale, il ruolo delle ONG sta cambiando. Non più solo erogatrici di aiuti, queste organizzazioni stanno diventando veri e propri partner per il progresso delle comunità locali. Ne parliamo con San Moumassou Njona, Executive Master in Management of International Organizations alla SDA Bocconi nel 2020 e attualmente Program Manager per Gambia, Senegal e Guinea per Gavi, the Vaccine Alliance, dopo aver ricoperto vari ruoli per altre organizzazioni umanitarie, tra cui IEDA Relief, NorCap (NRC) e lo United Nations Office for Project Services (UNOPS). Dalle sfide del coordinamento tra ONG e governi alla necessità di maggiore coinvolgimento delle comunità locali, Njona ci guida attraverso i cambiamenti in atto e le prospettive per il futuro del settore umanitario in Africa.
San, potrebbe iniziare raccontandoci la sua esperienza?
Certamente. Ho trascorso circa un decennio lavorando in vari ruoli umanitari e di sviluppo; ho anche svolto attività di volontariato per un anno e mezzo con l’UNHRC, e il resto a vario titolo, compreso il periodo alla Bocconi e il coinvolgimento con il Norwegian Refugee Council e l’UNOPS. Durante questo periodo, ho lavorato su una serie di programmi riguardanti la salute, l’istruzione, la pacificazione e la ripresa economica. In quel periodo ho assistito all’evoluzione delle ONG nell’Africa subsahariana. È stato particolarmente interessante: ho notato con grande soddisfazione un cambiamento del loro ruolo, da semplici fornitori di aiuti a veri e propri partner per lo sviluppo.
Cosa intende quando parla delle ONG come partner dello sviluppo?
Molte ONG hanno cambiato approccio. Invece di imporre programmi decisi dai donatori, ora lavorano direttamente con le comunità locali, impiegando persone del posto e collaborando con loro nell’avvio e nella progettazione dei programmi. Il risultato è un partenariato più inclusivo e collaborativo. Prima, le ONG arrivavano spesso nelle comunità senza conoscere le strutture locali, dando vita a programmi inefficaci. Ora, invece, ci si orienta verso il rafforzamento delle capacità e il passaggio delle responsabilità alle entità locali.
Sembra un cambiamento positivo. Ci sono ancora problemi?
Assolutamente sì. Le ONG spesso dispongono di maggiori risorse rispetto alle autorità locali, il che può portare a una fuga di cervelli, con professionisti qualificati che abbandonano le amministrazioni pubbliche per posizioni meglio retribuite nelle ONG indebolendo le istituzioni. In alcuni casi, le ONG addirittura agiscono di fatto al posto del governo, il che solleva preoccupazioni sulla sostenibilità a lungo termine. Un’altra sfida è la frammentazione: quando gli interventi non sono coordinati, si verificano sforzi ridondanti, con conseguente spreco di risorse.
Può spiegare meglio queste difficoltà di coordinamento? Intende tra ONG e governi o anche tra le stesse ONG?
Entrambe le cose. Le ONG spesso ricevono finanziamenti da donatori diversi, ognuno con un proprio obiettivo. Se non c’è coordinamento, due ONG potrebbero trovarsi ad attuare programmi simili nella stessa scuola o nello stesso villaggio. Senza un adeguato coordinamento, gli sforzi si sovrappongono, creando inefficienze. Per risolvere questo problema, sono stati istituiti meccanismi di coordinamento, spesso guidati dall’OCHA (United Nations Office for the Coordination of Humanitarian Affairs). Queste azioni sono utili, ma il problema persiste, soprattutto nelle aree più remote.
Alla luce di queste sfide, come si può migliorare il coordinamento?
Ci sono diversi modi per affrontare il problema. Per cominciare, le ONG che lavorano nelle stesse aree dovrebbero istituire forum per valutare bisogni e piani di intervento, con una chiara divisione delle responsabilità. Poi, le ONG attualmente riportano soprattutto ai donatori e alle autorità centrali, non alle comunità locali. Le ONG dovrebbero fare analisi ex-post insieme alle comunità in cui operano, per capire insieme ciò che ha funzionato, ciò che non ha funzionato e come migliorare.
Secondo lei, ci stiamo muovendo nella giusta direzione?
Non è solo una sensazione: ci sono chiari indicatori che ci stiamo muovendo in questa direzione. La scarsità di risorse obbliga le ONG e gli operatori dello sviluppo a lavorare in modo più efficiente. Inoltre, le comunità chiedono sempre di più un loro coinvolgimento nelle sedi decisionali. Ciò consentirebbe alle organizzazioni umanitarie e di sviluppo di collaborare di più, assicurando che i loro interventi siano realmente orientati alla comunità. Una tendenza positiva è l’emergere di reti di ONG locali nelle regioni del Sahel e dei Grandi Laghi. Tuttavia, anche i donatori devono fare la loro parte ascoltando queste reti locali e fornendo le risorse necessarie per mettere in atto soluzioni sostenibili.
Inoltre, come operatori umanitari, ammettiamolo: se una comunità ha ricevuto cinque anni di interventi umanitari per lo stesso problema senza alcun miglioramento, qualcosa non va. Cinque anni bastano per conseguire un master: sicuramente si può sperare di ottenere dei progressi nello stesso arco di tempo. Gli interventi a lungo termine devono portare all’autosufficienza, non alla dipendenza perpetua dagli aiuti.