Mettere la propria idea di successo nero su bianco
C’è sempre un senso architettonico di sottofondo, nel senso costruttivo vero e proprio del termine, quando si parla con Federica Ambrogi. Per esempio, se spiega che “è meglio creare ambienti di lavoro in cui vengono celebrati differenti modelli di successo perché, solo in questo modo, si formano team inclusivi e coesi, che condividono i risultati ottenuti e sanno ragionare sugli errori”. E come si costruisce un clima professionale così? “Riconoscendo il percorso di consapevolezza personale che fa ognuno di noi, quando si arriva a capire anche che tipo di carriera si vuole fare, quali obiettivi si vogliono raggiungere, lavorativi e privati che siano. È da tutti questi elementi che bisogna partire per costruire, mattoncino dopo mattoncino, un ambiente di lavoro più inclusivo e performante”, risponde subito l’alumna dell’Università Bocconi, laureata in Economia aziendale e oggi direttrice regionale Sud Europa di Taboola, che ha ben chiari gli obiettivi commerciali di vendita per una società tecnologica specializzata in content discovery e nella pubblicità di performance. Ma altrettanto “so bene che il concetto di successo ha pieno valore in un contesto bilanciato tra breve e lungo periodo: faccio il mio obiettivo di quarter ma devo anche considerare se l’ho raggiunto fidelizzando i miei clienti e se il mio team ha saputo affrontare senza tentennamenti le sfide inattese”, prosegue Ambrogi che ha iniziato a comprendere quale futuro avrebbe voluto per sé, scrivendolo su un piccolo pezzo di carta.
“È un consiglio pratico che do ai più giovani: prendete carta e penna e definite la vostra idea di successo. Magari successivamente la cambierete ma mettere nero su bianco la propria visione generale e i dettagli pratici per attuarla serve a prepararsi per il futuro. Aiuta anche a spiegare bene agli altri chi siamo e cosa vogliamo. Io ho scritto la mia visione e poi l’ho specificata sottolineando entro quanto tempo volevo lavorare in un’azienda allineata coi miei valori, in quale ambito desideravo lavorare o da che tipo di manager volevo imparare”, afferma Ambrogi che oggi mette in campo questa filosofia professionale anche fuori dalla sua azienda, facendo coaching. In questa sua seconda attività, comincia esattamente cercando d’individuare insieme al mentee il suo specifico modo d’essere, di comportarsi e comunicare, la sua scala di valori.
L’attenzione di Ambrogi per la diversità, spaziando tra quella di genere, anagrafica o legata al background sociale, è nata quasi per caso seguendo un corso di strategia aziendale con argomenti come la Teoria del caos o il concetto di relatività: “dopo quelle lezioni, mi è scattato qualcosa nella mente per cui ho iniziato a cogliere meglio i tanti aspetti soggettivi della realtà”, ricorda la direttrice regionale Sud Europa di Taboola. “Ma devo dire che, in senso più ampio, la propensione all’apertura e all’inclusione è scaturita in una piccola stanza, la più brutta forse dell’appartamento che condividevo a Milano, durante il periodo universitario, con tre ragazzi olandesi. In casa mi sono relazionata con culture differenti e mi si è aperta una finestra sul mondo. Ho preso piena consapevolezza che avrei voluto sentirmi cittadina di quel mondo. Alla fine ho vissuto tanto all’estero e ho lavorato, negli anni, in vari paesi tra cui Singapore, Qatar e Londra dove vivo oramai da 20 anni”.
Tuttavia, capita che gli ambienti di lavoro non siano sempre inclusivi e internazionali. Come si risolve il problema? “È sempre possibile riconoscere i cosiddetti blind spot, i punti in cui si annidano le cause che impediscono di coltivare la diversità. Se non si sa da dove partire, basta affidarsi ai numeri”, dice in modo propositivo Ambrogi. “Se si vuole perseguire la parità di genere, allora è importante guardare al numero di donne ai vertici aziendali. Così è immediato avere chiaro se quella strategia per la parità di genere è efficiente o meno. Può non esserlo, del resto, se si cercano donne manager ma poi si richiede il lavoro in presenza 5 giorni su 5”, chiosa con un tocco d’ironia Ambrogi, ricordando che spesso le donne hanno ancora la responsabilità aggiuntiva della famiglia.