Lo Stato che funziona
Firmare un contratto sociale tra cittadini e istituzioni non è mai stato un gesto semplice. Perché gli Stati funzionino davvero – perché sappiano raccogliere risorse, garantire servizi, offrire opportunità – servono tre condizioni: una domanda di presenza pubblica da parte della società, un apparato amministrativo capace di rispondere a quella domanda, e infine istituzioni che operino nell’interesse generale, non corrotte da legami privati. Oggi queste parole possono sembrare scontate, ma basta guardare alla storia per accorgersi di quanto fragile e complesso sia stato il processo di costruzione della capacità statale.
Ed è proprio qui che la ricerca diventa attuale. Comprendere come e perché alcuni Stati siano riusciti a rafforzarsi mentre altri restano deboli non è solo un esercizio di storia economica: è una chiave per leggere il presente. Nel mondo contemporaneo la capacità statale continua a fare la differenza. La vediamo nel modo in cui i governi affrontano crisi economiche e sanitarie, come nel caso della pandemia, quando la tenuta o la fragilità delle istituzioni ha inciso sulla vita quotidiana di milioni di persone. La ritroviamo nelle politiche migratorie, dove la capacità di un Paese di gestire arrivi e integrazione spesso segna la differenza tra inclusione e tensioni sociali. E ancora, la vediamo nei mercati globali, dove i governi sono chiamati a regolamentare giganti tecnologici e nuove frontiere economiche, spesso più veloci dei sistemi normativi. Le sfide che affrontiamo oggi non sono poi così diverse da quelle che comunità e nazioni si trovarono davanti due secoli fa: come garantire servizi pubblici essenziali, come bilanciare interessi privati e bene collettivo, come costruire istituzioni capaci e credibili. Studiare il passato, dunque, significa dotarci di strumenti migliori per interpretare e affrontare il presente.
Con il progetto STATE-DEV, sostenuto da un ERC Starting Grant, ho deciso di affrontare proprio questo nodo: capire come nascono e come si sviluppano Stati in grado di promuovere sviluppo economico e sociale. Per farlo, guardo indietro a due laboratori storici cruciali: l’Italia post-unitaria e gli Stati Uniti della seconda metà dell’Ottocento e della prima metà del Novecento. Due contesti diversissimi, ma accomunati da una rapida crescita del ruolo dello Stato, in cui si può osservare come si siano formate – o come siano mancate – le condizioni per un rafforzamento delle istituzioni.
Le domande sono semplici da formulare, ma difficili da risolvere. Da cosa nasce la richiesta di più Stato? Il progresso tecnologico e le migrazioni possono aver spinto comunità intere a chiedere più scuole, più infrastrutture, più servizi pubblici? In Italia, invece, quale ruolo hanno avuto i prefetti – quei funzionari che incarnavano la presenza dello Stato nei territori – nel plasmare la capacità amministrativa e, con essa, lo sviluppo economico? E ancora: cosa succede quando i confini tra pubblico e privato si fanno porosi, quando funzionari passano nelle imprese e manager privati approdano in burocrazia? È una circolazione virtuosa di competenze, o un canale che alimenta favoritismi e corruzione?
Il cuore di STATE-DEV sta nel tentativo di rispondere a queste domande intrecciando approcci diversi. Non basta la teoria: servono dati, archivi, prove empiriche. Raccoglieremo e digitalizzeremo materiali finora poco esplorati, dai bilanci dei comuni italiani alle cronache dei giornali locali americani dell’Ottocento, dalle carriere dei prefetti ai registri delle imprese statunitensi. Grazie a tecnologie nuove, come i modelli linguistici applicati a queste fonti storiche costruiremo dataset che resteranno patrimonio comune per la comunità scientifica e che potranno essere usati da economisti, storici e politologi per porre nuove domande e verificare nuove ipotesi.
In questo modo, lo sguardo al passato non è mai puro esercizio erudito. Al contrario, diventa un laboratorio per capire meglio come reagiscono le istituzioni di fronte a sfide improvvise, come si rafforzano o come falliscono. È guardando agli effetti delle migrazioni di massa negli Stati Uniti dell’Ottocento che possiamo trovare parallelismi con i flussi migratori che oggi attraversano l’Africa e l’Europa. È analizzando la figura del prefetto italiano che possiamo chiederci quanto conti, ancora oggi, la qualità della leadership burocratica nei processi di crescita. È studiando i meccanismi della “revolving door” tra pubblico e privato che possiamo ragionare su come regolamentare fenomeni che riguardano anche le istituzioni europee e nazionali contemporanee.
Con STATE-DEV non promettiamo risposte definitive, ma nuove lenti per leggere un tema cruciale: che cosa rende uno Stato capace? E, soprattutto, che cosa possiamo imparare da chi, in passato, ci è riuscito? La posta in gioco non riguarda soltanto gli storici, ma tutti noi. Perché la qualità dello Stato in cui viviamo continua a determinare, in larga misura, le possibilità di crescita economica, la coesione sociale e la solidità della democrazia.
Dove la conoscenza nasce per cambiare le regole
Dalle equazioni che descrivono la turbolenza ai meccanismi della finanza, dalle politiche del mercato del lavoro alle istituzioni dello Stato: i sei nuovi progetti di ricerca dei docenti Bocconi finanziati...