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Gli attentati non lasciano solo macerie materiali: cambiano per sempre il modo in cui guardiamo gli altri. Una ricerca Bocconi rivela gli effetti di lungo periodo del terrorismo sulla coesione sociale e sul modo in cui costruiamo legami di fiducia

Un attentato terroristico può modificare in modo permanente il nostro modo di guardare gli altri e di vivere nella società? Secondo un mio recente studio con Elisa Borghi e Francesco Scervini, pubblicato su Economic Development and Cultural Change, la risposta è sì. Il terrorismo lascia cicatrici profonde nella personalità: gli eventi vissuti negli anni formativi della vita (adolescenza e prima età adulta) influenzano la fiducia verso gli altri anche a distanza di molti decenni. I risultati dello studio, che mettono in luce gli effetti di lungo periodo del terrorismo sul capitale sociale, appaiono particolarmente significativi se letti alla luce del contesto globale contemporaneo, sempre più segnato da insicurezza e polarizzazione. Abbiamo incrociato i dati della World Values Survey, che misura il grado di fiducia interpersonale, con quelli del Global Terrorism Database, che registra attentati e vittime di atti terroristici in tutto il mondo dal 1970. L’analisi si basa su un campione di oltre 210.000 individui, nati tra il 1954 e il 1993 e intervistati in 107 paesi.

Il cuore della ricerca è l’ipotesi psicologica dei modelli degli ‘anni impressionabili’, secondo cui valori e atteggiamenti si formano soprattutto tra i 15 e i 25 anni, quando la personalità è più plastica e l’esperienza sociale più intensa. In questa fase cruciale della vita si costruiscono quelle che gli psicologi chiamano le mappe emotive attraverso cui interpretiamo il mondo. Esperienze collettive di paura o violenza, vissute in questi anni, tendono a radicarsi nella memoria affettiva e a influenzare in modo duraturo il modo in cui percepiamo gli altri e la nostra capacità di fidarci. È proprio in questo periodo che eventi traumatici come guerre, crisi economiche, disastri naturali o attentati terroristici possono lasciare un’impronta profonda e persistente sulla percezione della società e dei rapporti interpersonali. L’analisi mostra che chi ha vissuto gli anni impressionabili in paesi colpiti da attentati tende, da adulto, a fidarsi meno degli altri. L’effetto non si osserva se l’esposizione a questi eventi è avvenuta nell’infanzia o nell’età adulta, a conferma che sono proprio gli anni impressionabili la finestra di tempo in cui i valori individuali si consolidano.

I risultati dello studio mostrano come non si tratti di un effetto passeggero: anche controllando per età, reddito, istruzione, religione e caratteristiche dei paesi, l’impatto resta statisticamente significativo. La perdita di fiducia aumenta con la frequenza e la gravità degli attacchi: essere stati esposti a un numero maggiore di eventi o a eventi più letali accresce il senso di insicurezza percepito. Il passare del tempo non aiuta a cancellarne gli effetti: la memoria collettiva degli anni del terrore continua a influenzare le generazioni che li hanno vissuti, modificando comportamenti e aspettative nei confronti degli altri. Il contesto politico, però, è determinante così come la natura degli eventi terroristici. Sia il terrorismo domestico sia quello internazionale riducono la fiducia interpersonale, ma con intensità diverse. Gli attacchi di matrice internazionale producono un effetto più marcato e persistente, mentre gli attentati domestici vengono percepiti come parte di conflitti interni, e quindi, in alcuni casi, possono generare anche una temporanea coesione di gruppo.

L’impatto complessivo di entrambi i tipi di terrorismo è comunque più forte nei paesi autoritari che nei regimi democratici. Nei paesi più democratici, le istituzioni sembrano in grado di mitigare la perdita di fiducia: la coesione civica, la libertà di stampa e la capacità delle autorità di reagire in modo trasparente aiutano a ricostruire il legame sociale. Al contrario, nei regimi autoritari o fragili, gli attentati acuiscono la diffidenza e amplificano le divisioni.

In un’epoca segnata da un declino globale della fiducia verso le istituzioni, i media e perfino tra i cittadini, capire in che modo gli shock traumatici ne influenzino la formazione è essenziale per elaborare politiche efficaci di ricostruzione del capitale sociale. La fiducia è un bene collettivo fragile ma decisivo: riduce i costi delle transazioni, favorisce la cooperazione, sostiene la crescita economica e la stabilità democratica. Dopo un attentato è importante agire proprio su adolescenti e giovani, per evitare effetti negativi di lungo periodo. Il terrorismo non distrugge solo vite o infrastrutture: erode il tessuto invisibile che tiene insieme le società. Ricucirlo richiede tempo, consapevolezza e istituzioni forti. Coltivare la fiducia, in tempi di paura e incertezza, non è solo un obiettivo morale: è una condizione necessaria per la salute democratica ed economica delle società.

MICHELA BRAGA

Università Bocconi
Dipartimento di Economia