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Nell’era dell’informazione infinita, la capacità di concentrazione diventa una risorsa scarsa. Chi sa gestirla è libero, chi la perde è manipolabile

In un mondo dove l'informazione è abbondante, l'attenzione è sempre più la risorsa scarsa. Ogni giorno, miliardi di persone navigano in un’immensità di contenuti digitali dove piattaforme, brand e creator competono per catturare pochi secondi di attenzione che possano trasformare uno scroll distratto in engagement, conversioni e ricavi. È la cosiddetta economia dell’attenzione, dove ogni secondo di permanenza su una pagina web, ogni like e ogni condivisione generano valore monetario attraverso advertising, conversioni e naturalmente profilazione. Si tratta di un sistema che si autoalimenta: più attenzione catturi, più dati raccogli; più dati hai raccolto, più puoi personalizzare i contenuti; più personalizzi i contenuti, più catturi attenzione. Il risultato è un sistema via via più sofisticato nell’attirare e trattenere le persone, progettato per massimizzare il time on site. Gli algoritmi di raccomandazione analizzano in tempo reale i nostri comportamenti per predire cosa ci terrà agganciati allo schermo. Le notifiche push utilizzano principi di condizionamento intermittente mutuati dal mondo del gambling; i feed infiniti eliminano i punti di interruzione naturale; l'autoplay dei video, i countdown nelle stories, i ‘double tap to like’: sono tutti meccanismi progettati per ridurre l'attrito cognitivo e aumentare la probabilità di engagement. Sono tutti strumenti di quella che Tristan Harris definisce la ‘persuasion technology’.

Questa competizione ha conseguenze profonde sulla nostra capacità di concentrazione. Numerose ricerche mostrano che l’affollamento digitale aumenta i livelli di cortisolo e riduce l'efficienza cognitiva. Il fenomeno della ‘continuous partial attention’ - l'attenzione parziale continua - sta rimodellando il nostro cervello, privilegiando la reattività superficiale rispetto alla riflessione profonda. È allarmante: chi cresce in questo sistema mostra pattern di attenzione via via più frammentati. La lettura di testi lunghi, l'approfondimento e il pensiero critico diventano competenze a rischio in chi si abitua alla gratificazione istantanea dei micro-contenuti. Osservato da un’altra angolazione, il fenomeno si sta presentando anche a chi (ab)usa dell’intelligenza artificiale generativa (GenAI). Uno dei suoi utilizzi più diffusi è la sintesi di testi complessi: semplicemente, si chiede all’algoritmo di farne il riassunto, spesso restituito in forma di punti elenco. Una strategia di efficienza, il cui costo nascosto è tuttavia quello di diventare sempre meno capaci di leggere e soprattutto di comprendere.

Paradossalmente, l'era digitale ha davvero democratizzato l'accesso all'informazione come mai prima nella storia umana. Chiunque può pubblicare, creare, condividere conoscenza. Wikipedia, i corsi online gratuiti, i podcast educativi hanno reso il sapere potenzialmente accessibile a miliardi di persone. Il problema non è più la scarsità di informazioni, ma la nostra capacità limitata di processarle in modo significativo.

In questo contesto, emerge una nuova forma di disuguaglianza: quella tra chi sa gestire la propria attenzione e chi ne è vittima. Le nuove élite cognitive stanno imparando a proteggersi, mentre gli altri rimangono intrappolati in cicli di consumo passivo di contenuti progettati per essere irresistibili. La soluzione è una delle maggiori sfide sociali ed educative dei prossimi anni. Mantenere il controllo della nostra attenzione non è solo una questione di produttività personale e di skill da mettere a frutto nell’ambiente lavorativo, ma anche e soprattutto una questione di autonomia cognitiva e, in ultima istanza, di democrazia. In un mondo dove chi controlla l'attenzione controlla la realtà percepita, la capacità di concentrarsi diventa un atto di resistenza e, soprattutto, di libertà.

Cirrincione

ARMANDO CIRRINCIONE

Bocconi University
Dipartimento di Marketing

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