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Il giornalismo alla prova del futuro

, di Diana Cavalcoli
Riconquistare con l’autorevolezza il tempo e la fiducia dei lettori, ma anche svilupparne il coinvolgimento intorno al contenuto. E capire come sfruttare al meglio le potenzialità dell’intelligenza artificiale senza esserne sopraffatti. Così vecchi e nuovi media si preparano a un’informazione che tra pochi anni sarà solo digitale. Ne discutiamo con Luca De Biase, Riccardo Haupt e Francesco Carione, alumni Bocconi ed esperti del settore

Secondo i calcoli di Philip Meyer, celebre studioso del mercato editoriale americano, l'ultima copia cartacea del New York Times sarà acquistata nel 2043. A restare in piedi, in un futuro non troppo lontano, sarà solo l’informazione digitale. La profezia, secondo diversi teorici del giornalismo, potrebbe diventare realtà in tempi molto più rapidi considerando la velocità con cui l’intelligenza artificiale sta trasformando il mondo dei giornali entrando nelle redazioni e rivoluzionando il modo in cui le notizie vengono prodotte, distribuite e consumate. 

Secondo l’ultimo report del Reuters Institute, la diffusione dell’AI nelle organizzazioni giornalistiche continua la sua corsa con l’87% dei giornalisti a capo delle principali testate internazionali convinti che le redazioni siano ormai completamente o in parte trasformate da algoritmi e chatbot. L’ambizione delle realtà editoriali, si spiega nell’indagine, è infatti la personalizzazione dei contenuti per aumentare il coinvolgimento dei lettori. Da qui il moltiplicarsi di tool nuovi: da quelli che trasformano gli articoli di testo in audio (75%), a quelli che forniscono riassunti realizzati tramite Ai (70%), passando per le traduzioni in diverse lingue (65%) in un click. 

La sfida è chiara: conquistare il tempo dei lettori. Luca De Biase, alumnus Bocconi, giornalista e saggista esperto di innovazione, spiega come la differenza in questi anni di grande cambiamento la farà chi nel mare magnum dell’informazione digitale saprà ritagliarsi nuovi spazi di rilevanza, ristabilendo il patto di fiducia con il lettore. Un legame ancor più importante al tempo delle piattaforme digitali e dei social media che monopolizzano l'attenzione di lettori iperconnessi. Dice: «La grande novità rispetto al mondo analogico è che ciò che è scarso oggi è il tempo ovvero l'attenzione del pubblico. Quando esisteva solo il giornale cartaceo lo spazio era la risorsa scarsa per eccellenza ed era controllata dagli editori. Oggi non è più così». E la competizione con le piattaforme, si pensi a X o Instagram, si è fatta serrata. Senza che i giornali ne siano usciti vincitori. «Si deve trovare - aggiunge De Biase - uno spazio altro per fare informazione, alternativo a quello delle piattaforme che intrattengono ma non nascono per informare. Giornalismo è sapere come stanno le cose secondo un metodo preciso, che verifica le fonti, che è indipendente, accurato, che può essere anche relativamente leggero e divertente ma non privo d'una sua precisione». La buona notizia è che il bisogno di conoscere ciò che accade nel mondo, dalla strada di quartiere al Paese lontano migliaia di chilometri, non è calato negli anni, si è semmai disperso. Occorre quindi ripartire dalla rilevanza del metodo giornalistico e per De Biase alcuni esperimenti degli ultimi anni si sono rivelati positivi. 

«Il Post in Italia ha saputo creare una sua comunità di lettori e non a caso ribadisce quanto la sua forza stia nel metodo e nella cura con cui presenta le notizie ma ci sono anche casi internazionali come ProPublica, fondata per fare le inchieste che i giornali non fanno. Un caso di successo tanto che dopo tre anni dalla nascita ha vinto il premio Pulitzer. La sfida oggi ritengo sia creare uno spazio, un contesto nel quale il senso del giornalismo si ritrovi». 

Per Riccardo Haupt, alumnus Bocconi e CEO di Chora&Will Media: «Il giornalismo tradizionale inteso come informazione di cosa è successo ieri è morto. Si tratta di una mera commodity che tutti hanno in mano. Sia con Chora che con Will puntiamo invece a una logica di coinvolgimento, vogliamo generare un valore comunitario attorno al contenuto». Un atteggiamento evidente se si guarda al core business di Chora ovvero i podcast, un mercato in crescita anche in Italia dove a fine 2024 si contavano 17,2 milioni di ascoltatori. «Funzioniamo - chiarisce Haupt - come una vecchia casa editrice che ha un'infinità di titoli ma è autorevole e riconoscibile come brand a sé stante». E poi ci sono le voci. «L'intelligenza artificiale è una grandissima realtà, la usiamo per velocizzare il montaggio o per le traduzioni, ma anche guardando alla creator economy e al boom che ha avuto in questi anni ci si rende conto di come l'essere umano non sia mai stato così centrale. I brand più forti, quelli che portano a casa i numeri più importanti sono sempre volti in carne e ossa. Puoi trovare una voce simile a Cecilia Sala, ricrearla con l’intelligenza artificiale ma non sarà mai paragonabile alla persona e al suo modo di raccontare. Per questo mi immagino un futuro di esseri umani con AI piuttosto che l'AI al posto degli esseri umani», conclude.

Secondo l’alumnus Francesco Carione, direttore generale della Gazzetta dello Sport «l'intelligenza artificiale è una rivoluzione al pari di internet se non più veloce. Se i primi siti, penso al Corriere della sera e alla Gazzetta, sono nati intorno alla seconda metà degli anni Novanta e hanno impiegato almeno ventiquattro anni prima di essere considerati profittevoli, per l’intelligenza artificiale i tempi saranno molto più accelerati». Sarà quindi fondamentale per il manager lavorare sulle competenze interne, preparare le nuove generazioni di giornalisti che saranno più di prima chiamate a garantire informazioni di qualità ai lettori. Per Carione in un futuro sempre più digitale, con le aziende editoriali che per distinguersi dovranno puntare sull’autorevolezza, si porrà con ancor più forza la questione del copyright. «Questo è evidente se si guarda all’informazione sportiva. La quasi totalità delle notizie oggi è prodotta da media tradizionali i cui contenuti vengono poi piratati e rielaborati, oggi anche attraverso Ai, in pochi istanti e da testate di ogni tipo». Un sistema di para-informazione, usa e getta, che rischia di alimentare anche la disinformazione. Ma è proprio in questo contesto che il giornalismo di qualità può emergere. «In un mondo in cui le fake news saranno sempre di più o le immagini fake si moltiplicheranno, il lettore avrà bisogno di affidarsi a chi è in grado di raccontare i fatti, a chi fa lavoro di verifica. Resto convinto che in questo scenario i brand di qualità verranno fuori con forza. Soprattutto oggi che c'è tanto da vedere rispetto allo sport giocato e servono quindi capacità di analisi e di racconto originali».

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