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Il peso della tradizione

, di Graziella Romeo
Dalle corti americane a quelle europee, torna a imporsi un ragionamento che guarda al passato per orientare le scelte sui diritti fondamentali. Ma può davvero giustificare esclusioni e discriminazioni? Un’analisi comparata sulle ambiguità di un argomento sempre più controverso

Nel panorama sempre più articolato delle controversie in tema di diritti fondamentali, la nozione di tradizione emerge oggi come un terreno di confronto giuridico e culturale particolarmente rilevante. Il concetto di tradizione è intimamente legato a quello di diritto. Il diritto stesso può essere interpretato come una tradizione, mantenuta e conservata come bacino di soluzioni giuridiche adatte a regolare comportamenti sociali. In tempi recenti, tuttavia, le corti costituzionali e sovranazionali hanno iniziato a confrontarsi apertamente con il ragionamento tradizionalista, fondato cioè sulla necessità del rispetto della tradizione, talvolta abbracciandolo, talvolta criticandolo.

Questa crescente attenzione solleva interrogativi cruciali: quale spazio occupa la tradizione nel processo decisionale delle corti? Può la tradizione giustificare limiti ai diritti di gruppi storicamente discriminati?

Il tema è, oggi, rilevante soprattutto per definire i contorni del diritto delle coppie dello stesso sesso alla formazione di una famiglia “tradizionale”, nel senso di fondata su un legame riconosciuto dalla legge e finalizzata alla crescita dei figli. 

Alcuni casi recenti forniscono uno spaccato significativo di questa tensione tra tradizione e mutamento dei costumi sociali. La Corte Suprema degli Stati Uniti ha, soprattutto negli ultimi anni, adottato posizioni che riflettono una certa deferenza verso la tradizione in materia di diritti delle donne, seguita a stretto giro dalla Corte costituzionale dell’Uganda, che ha espressamente citato il precedente americano, traslandone il ragionamento in una controversia in materia di diritti delle persone omosessuali. La Corte Europea dei Diritti dell’Uomo, dal canto suo, ha affermato che il sostegno alla famiglia tradizionale può costituire un motivo legittimo per differenziare il trattamento delle coppie in base all’orientamento sessuale.

D’altro canto, la Corte Interamericana dei Diritti Umani ha invitato gli Stati a riconoscere pienamente i diritti delle famiglie omogenitoriali, sottolineando che tradizione, cultura e religione non possono essere invocate per giustificare pratiche discriminatorie. In Europa, la Corte costituzionale tedesca e quella slovena hanno mostrato, con argomentazioni diverse, una sensibilità più critica nei confronti dell’uso della tradizione come parametro normativo.

In questo contesto, diventa sempre più urgente una riflessione comparativa e interdisciplinare sulla portata e i limiti dell’impiego della tradizione nel diritto contemporaneo (“The tradition trap and the rights of same-sex couples”, in Asian Journal of Comparative Law, forthcoming 2025, 1-46, con Stefano Osella). Alcune indicazioni significative arrivano, per esempio, dalla Corte di Appello di Hong Kong, la quale ha chiarito che il ragionamento tradizionalista presenta una logica “circolare” poiché finisce per giustificare la necessità di perpetuare una tradizione – l’esclusione delle coppie omosessuali dal pieno godimento dei diritti legati alla sfera familiare – sulla base della bontà intrinseca di un passato che diventa normativo, capace cioè di influenzare la disciplina giuridica nel presente.  

In questo quadro, la Corte costituzionale italiana ha dapprima qualificato il matrimonio come una tradizione millenaria che riconosce il legame tra persone di sesso opposto finalizzato alla procreazione e alla crescita dei figli, giustificando per questa via la limitazione del diritto al matrimonio nei confronti delle coppie omosessuali. In anni più recenti, la Corte ha invece chiarito che una rilettura degli istituti più tradizionali del diritto di famiglia può essere necessaria alla luce dei profondi cambiamenti socio-culturali ai quali le democrazie contemporanee vanno incontro (Corte Cost., 22 febbraio 2024, n. 66). Il caso riguardava una coppia omosessuale unita civilmente, divenuta eterosessuale dopo la transizione di uno dei partner. La Corte ha ritenuto che lo scioglimento automatico dell’unione violasse i diritti del ricorrente, permettendone il mantenimento temporaneo. Il caso dimostra che il ragionamento tradizionale è oggi affrontato con la sempre maggiore consapevolezza della sua intrinseca debolezza logico-razionale.