
Una storia sbagliata
“È sempre così, capisci quanto ci tenevi solo dopo che vi siete lasciati”. Potrebbe trattarsi del commento di un amico a un vostro tentativo di rimettere in piedi una storia finita male e invece è l’analisi spietata della fine di una relazione pluri-centenaria, quella tra l’editoria periodica e la sua audience.
Di chi è la colpa? Degli editori, che non hanno capito d’essere un business di relazione.
Più precisamente un modello di business basato su tre relazioni - tutte in qualche modo tradite.
Vediamole una per volta.
All’inizio degli anni Duemila, la prima relazione a saltare è quella con quel segmento di pubblico pagante che sui quotidiani non era interessato alle ultime sulla guerra di Bush Junior in Iraq, ma cercava una moto di seconda mano da comprare. O un nuovo impiego, un appartamento in affitto o l’anima gemella. In quel momento di guado al digitale, gli editori non capiscono che hanno sempre avuto una relazione con due segmenti di pubblico distinti: chi comprava il giornale per leggerlo e chi lo comprava per gli annunci. Se i primi sceglievano la testata per il suo giornalismo, i secondi la sceglievano perché c’era un volume di inserzioni adeguato alla loro ricerca. Quando con l’avvento di internet i micro-inserzionisti si sono spostati su siti ad hoc e più efficienti, è crollato il business degli annunci, che per i quotidiani locali arrivava a rappresentare anche fino al 70% dei loro ricavi. E se oltre a traghettare il giornale online, avessero migrato anche il modello delle inserzioni? Sicuramente avrebbero continuato a presidiare una relazione molto redditizia.
Tra la fine della prima decade e la metà della seconda di questo millennio, si consuma il secondo tradimento: la relazione con i lettori (quelli interessati al giornale per il suo giornalismo). L’accesso alle notizie è sempre più tramite social e sempre più su dispositivi mobili. In sostanza, si concretizza lo scollamento tra l’editore e i contenuti che produce, che iniziano ad abitare ovunque. Per i giornali, infatti, il mantra diventa “seguiamo i lettori ovunque si trovino”. E qui inizia una liason dangereuse con i nuovi ospitanti i (potenziali) lettori: le piattaforme digitali (Facebook, X, Apple, Google, ecc.). Dapprima è l’era del click: massimizzare il traffico dai social media alle pagine delle testate attraverso l’adescamento attraverso titoli accattivanti e contenuti per un “palato social”. Poi è l’era dell’engagement: quando per avere almeno un click su un banner occorre portare più di mille lettori sulla pagina che ospita quel banner, gli editori iniziano a cercare altri metodi di monetizzazione. E qui le piattaforme passano all’azione. Facebook con Instant Articles, Google con AMP, Snapchat con Discover, Apple con Apple News, sviluppano soluzioni per ingaggiare i lettori sui contenuti degli editori, senza che i lettori debbano mai lasciare le piattaforme. Gli editori investono in social media manager, community manager e interi team dedicati a seguire ogni singola iniziativa proposta da ogni singolo social. Mentre loro investono, però, le piattaforme cambiano le regole del gioco. “Per ogni cinque lettori che Facebook ci inviava l’anno scorso, adesso ne arriva meno di uno” commenta un manager di Slate magazine nel 2018 dopo che l’azienda di Zuckerberg decide di modificare la logica con cui l’algoritmo propone i contenuti delle imprese.
La terza relazione va in crisi come diretta conseguenza di questa seconda: l’editore che perde il contatto con e non ha il controllo del suo lettorato è incapace di garantire un ROI agli investitori pubblicitari. Tutti i KPI vacillano: la durata media della navigazione, il numero di pagine visitate, il numero di visite per visitatore crollano drasticamente. Il contatto con i lettori è ormai mediato dalle piattaforme e il controllo ha come unità di scambio i dati, che solamente le piattaforme raccolgono e sanno gestire.
In sintesi, cosa non hanno capito gli editori nel lungo e travagliato passaggio dal cartaceo al digitale? D’essere un business di relazione e che ogni relazione conta.
All’inizio non hanno capito che il giornale cartaceo era acquistato anche da chi non era interessato alle notizie. Poi hanno barattato la relazione con il loro lettorato con la relazione con le piattaforme. E simultaneamente non hanno saputo servire più alcun valore agli inserzionisti pubblicitari.
“Chi è causa del suo mal pianga sé stesso”, chioserebbe l’amico. Ma col senno di poi siamo tutti ottimi consulenti.