Una riforma che non riforma
Quando si parla di "riforma fiscale" ci si riferisce a modelli impositivi innovativi coordinati con indirizzi di politica economica. Ciò non avviene negli attuali interventi, che, al momento in cui si scrive, si limitano a un disegno di legge delega che continua a ignorare l'obiettivo prioritario di governo della riduzione della pressione fiscale. Non solo un'azione tardiva che rivela un affannoso intento di recupero di credibilità, ma pure un differimento dell'efficacia delle misure fiscali ben oltre la durata della legislatura.
Ci si trova, insomma, di fronte a un intervento piuttosto limitato. E nella legge delega, invece che effettivi "principi e criteri direttivi" per guidare l'opera del legislatore delegato, si trovano disposizioni piuttosto superflue o generiche indicazioni di policy.È una disposizione superflua l'art.1, ove si opera un vago riferimento a una 'codificazione' del diritto tributario (non bastano dei testi unici?) e si enunciano principi che sono già immanenti nel sistema ovvero presenti nello Statuto del contribuente. Criteri superflui sono (art. 2) l'inclusione degli enti non commerciali tra i soggetti passivi dell'imposta (quid novi?), le norme in materia di participation exemption, che si limitano a confermare l'attuale assetto normativo, la revisione degli studi di settore. Altre disposizioni, come quella secondo cui "la disciplina dell'obbligazione fiscale riduce quanto più possibile lo sforzo del contribuente nell'adempimento degli obblighi fiscali", non hanno alcun contenuto direttivo. In base all'art. 2 c. 1, l'imposizione sul reddito personale è operata in ragione di tre aliquote, 20%, 30% e 40%. Qui il criterio di delega è addirittura inesistente: non vi sono indicazioni né sugli scaglioni di reddito cui le aliquote sono relative, né sulle basi imponibili. Lo stesso comma aggiunge che "criterio base della delega è quello di applicare queste aliquote su di un imponibile per quanto possibile non eroso dai regimi fiscali che nel corso degli anni sono stati introdotti per indirizzare le scelte e i comportamenti del contribuente verso obiettivi che lo Stato considerava costruttivisticamente meritevoli, lasciando invece alle persone e alle famiglie libertà di scelta in ordine all'uso del loro denaro". È arduo cogliere il significato direttivo di queste enunciazioni, sarebbe stata invece necessaria un'analisi quantitativa delle vigenti 'tax expenditures'. Sfrondata delle disposizioni che non sono effettivi criteri di delega, la legge si riduce, per quanto riguarda le imposte sui redditi, a prevedere una modifica della tassazione dei redditi finanziari unitamente alla inclusione nell'imponibile delle plusvalenze da partecipazioni qualificate, a modificare i regimi forfettari per le piccole imprese, a introdurre il concordato biennale preventivo per redditi di impresa e professionali, a proporre una nuova versione della dual income tax. L'art. 3 in materia di iva indica poi criteri di delega che sembrano condivisibili. L'art. 4 sulla cd. "imposta di servizi" infine impone il vincolo dell'accorpamento di diversi tributi indiretti, ma non è indicato come si possa concentrare in un'unica modalità di prelievo imposte così eterogenee.Questi i limiti tecnici della legge delega. Altre e più gravi perplessità riguardano considerazioni più generali. In primo luogo, la disposizione dell'abolizione dell'Irap (mentre nel decreto di luglio è inasprita per banche e assicurazioni...) e la previsione che sarà compensata, d'intesa con le regioni, da trasferimenti o da compartecipazioni. Sembra che il criterio di delega sia, una volta eliminato il gettito dell'Irap, il depauperamento delle regioni. Strano destino quello dell'Irap, pilastro del federalismo fiscale, la cui abolizione è stata auspicata dai governi di centrodestra, ma mai attuata.Altre perplessità riguardano il rapporto tra fisco e imprese. Il diritto tributario attuale manca di tutele nei riguardi di aggressive prese di posizione del fisco spesso con riflessi penali, in un quadro in cui non è dedicata sufficiente attenzione alla corporate tax governance dei grandi gruppi. Nella legge delega non è presente nessuna indicazione al riguardo.