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Una festa per ritrovare l'identita' persa

, di Giorgio Bigatti - docente di storia economica alla Bocconi
Celebrazioni per l'Unità. Nella loro storia si rivede la storia del paese e degli italiani

Approdata avventurosamente all'unità nazionale (seppur monca di Veneto, Trentino e di Roma) grazie a un ben dosato intreccio di iniziativa diplomatica e spinta popolare, il 17 marzo 1861, al momento della proclamazione del Regno, l'Italia è una nazione fragile.

La nuova classe dirigente liberale si trovò di fronte un compito immenso: secondo una frase attribuita a D'Azeglio, fatta l'Italia occorreva fare gli italiani. Impresa difficile a cui ci si accinse optando per un centralismo che pareva l'unico mezzo per saldare un paese profondamente lacerato. Nessuno tuttavia avrebbe potuto scommettere sulla tenuta di una nazione debole militarmente e segnata da antiche fratture e da un differente grado di sviluppo economico. Cinquant'anni più tardi, nel 1911 celebrandosi il primo "giubileo" della patria si poteva guardare con legittima soddisfazione al cammino percorso da un paese finalmente sciolto dalle tare del passato e proiettato in un presente che aveva nell'industria e nella tecnica i suoi riferimenti essenziali. Ma se l'Italia era ormai una, che ne era degli italiani? Qui la realtà era più controversa, non solo per l'opprimente povertà di larghe parti di un paese dal quale in quegli stessi anni centinaia di migliaia di abitanti partivano alla ricerca di un futuro migliore. Ma anche per la distanza tra paese legale e paese reale, una contrapposizione che trovava rappresentazione nella ristrettezza della piena espressione del diritto di cittadinanza e nell'estraneità delle masse di cattolici e socialisti dalle celebrazioni e più in generale dalla vita politica dello stato. Un sentimento di distanza dalle istituzioni che si saldava alla delusione e al rigetto di un presente che appariva a molti aver tradito le aspettative dei padri fondatori. A Giovanni Amendola che lamentava che il paese fosse composto "per nove decimi" di servitori e "per un decimo da un miscuglio nauseante di inetti, di scettici, di faccendieri senza fede e senza coscienza (i governanti)", facevano eco le amare considerazioni di Benedetto Croce preoccupato per la "decadenza che si nota nel sentimento dell'unità sociale" e per il fatto che "le grandi parole" che esprimevano questa unità: "il Re, la Patria, la Città, la Nazione, la Chiesa, l'Umanità sono divenute fredde e retoriche e, poiché suonano false, si evita di pronunziarle" (da E. Gentile, Né stato né nazione. Italiani senza meta). Di tutt'altro segno furono nel 1961 le manifestazioni per il centenario, forse più occasione per guardare al presente che per celebrare un secolo di storia, che evocava ancora freschi e brucianti ricordi dei disastri della guerra e della tragica conclusione di un ventennio malamente iniziato e peggio finito. Patria e nazione erano parole che scontavano l'uso che ne aveva fatto il fascismo ed erano state bandite dal lessico politico di un paese che non aveva fatto ancora i conti con il suo passato più recente. In questo frangente, con una società percorsa da una frenesia di vita e fiduciosa nel proprio futuro, le grandi manifestazioni di Italia 61, al cui finanziamento concorse il gotha dell'imprenditoria italiana, ebbero una evidente intenzionalità politica.Da una parte saldare idealmente risorgimento e resistenza in un percorso di riscatto che, lasciando sullo sfondo le pagine più controverse della storia nazionale, ritrovasse uno spirito di concordia tra le grandi forze popolari dopo un decennio di aspre contrapposizioni. Dall'altra, indirettamente, rivendicare i meriti della grande trasformazione in atto alle scelte compiute in dieci anni di governo dalla Dc e dai suoi alleati. Scelta comprensibile per un paese che stava vivendo il suo miracolo, ma era restio ad affrontare una storia che avrebbe riaperto ferite non ancora rimarginate.Si poteva pensare che oggi, a centocinquanta anni dalla sua nascita, fosse finalmente possibile guardare con animo sereno al lungo cammino percorso, recuperando il senso di una comune identità sottesa alle diverse visioni politiche e alle radicate differenze fra le diverse membra di quello che Carlo Cattaneo chiamava "il gran colosso italiano". E invece...