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Troppi marchi e poche star: già in crisi il sistema dei testimonial

, di Erica Corbellini - direttore del Mafed SDA Bocconi
La vera notizia della notte degli oscar è chi veste cosa, ma se l'attenzione dei media si è spostata da Sofia Loren a Paris Hilton qualcosa non va

La moda ha sempre più il volto delle celebrities. Testimonial pagate nelle campagne pubblicitarie: Halle Berry, e prima Madonna e Demi Moore, per Versace, Julia Roberts per Ferré, Asia Argento per Miss Sixty, Drew Barrymore per Missoni, Gisèle Bundchen e ancora Uma Thurman e Jennifer Lopez per Louis Vuitton, Kim Basinger per Miu Miu.

Testimonial spontanee, nella percezione dei consumatori, sul tappeto rosso o all'aeroporto, nelle strade, sulla spiaggia con i loro bambini, protagoniste oggi del 99% delle copertine dei femminili, laddove dieci anni fa c'era una modella. E' impensabile non averle ospiti ad inaugurazioni, lanci di linee, sfilate: quando in prima fila siede una persona famosa la copertura stampa dell'evento è assicurata.

Se è vero che sono manifesti che camminano, come è stato scritto, allora si tratta di cartelloni pubblicitari di inestimabile valore perché realizzano la quadratura del cerchio: rendere la moda al contempo accessibile, grazie alla larghissima diffusione delle pagine di gossip, ed esclusiva, laddove l'aspirazionalità è più legata all'immagine e alla notorietà che alla tradizionale affluenza economica.

E' un circolo virtuoso. La moda vende anche e soprattutto immagine: è perciò naturale l'associazione con chi ha trasformato la propria immagine in un asset professionale. Le celebrities si qualificano attraverso l'estetica: diventa perciò obbligata l'associazione con i marchi che dettano le regole dello stile (prima dell'arrivo di Giorgio Armani alla fine degli anni Ottanta, gli abiti indossati agli Oscar, frutto di scelte personali, erano oggetto di feroce derisione dei media). Di conseguenza, i tappeti rossi si sono allungati e la notte degli Oscar si è trasformata nella più grande competizione di moda: l'interesse per chi veste cosa supera quello per chi porterà a casa la statuetta.

I look celebri, come il rosa Ralph Lauren di Gwyneth Paltrow, il vintage Valentino di Julia Roberts, il lancio di Elie Saab da parte di Halle Berry e la maglietta Gap di Sharon Stone, fanno il giro del mondo e alimentano la possibilità per un brand di far parlare di sé per anni. Gli abiti da sogno rimangono un privilegio per pochissime: l'haute couture, dal punto di vista economico, è ininfluente nel business delle aziende del lusso, ma i marchi sotto i riflettori fanno il pieno con la vendita di accessori.

L'associazione con un volto famoso può esplicitarsi tanto nell'uso strategico di testimonial per la pubblicità quanto nella vestizione del vip in occasioni mondane o informali, il cosiddetto celebrity dressing. Nel caso di un vero rapporto contrattuale è necessario che i testimonial incarnino in maniera credibile i valori del marchio. Così accade nel caso di Versace, nell'immaginario collettivo una griffe associata alla capacità di rendere sexy le donne più belle del mondo. Madonna, Demi Moore, Halle Berry sono personaggi forti, donne splendide che appartengono al mondo della Medusa indipendentemente dalla pubblicità. La notizia della campagna istituzionale si alimenta con le interviste in cui Donatella Versace parla delle sue amicizie con lo star system hollywoodiano: le pubbliche relazioni amplificano l'effetto dell'advertising, la partnership diventa un attestato di reputazione.

Rispetto alla sponsorizzazione tradizionale, il vantaggio del celebrity dressing è nel percepito del lettore/cliente, che non sta guardando una pubblicità ma si sta rilassando con una pagina di gossip. Al di là dei vantaggi che un marchio può offrire ai vip (omaggi, guardaroba, vestiti custom made) l'endorsment è così potente perché è una scelta. Il punto di forza della moda, rispetto alle strategie di product placement degli altri settori, è proprio nella capacità di esercitare un'attrazione spontanea: quando un accessorio è un must have, quando un marchio è cult, le celebrities lo indossano per proiettare la loro immagine di tendenza.

Negli ultimi tempi, però, qualcosa si sta incrinando. Spinti dalla potenza di questa associazione, molti marchi hanno fatto il loro ingresso con strategie aggressive di mercificazione: alla relazione amicale di un tempo, ai piccoli benefit, si sono sostituiti i gettoni di presenza e gli ingaggi milionari. Inoltre, ci sono più stilisti che vere star da vestire: in mancanza del fascino di Sofia Loren, i siti di gossip sono inondati di foto di Paris Hilton.

Perché funzioni, l'endorsment deve quindi essere una scelta simbiotica: delle celebrities, che devono riconoscersi nel marchio che indossano, ma anche dei marchi, che devono imparare a selezionarle, consapevoli che nella moda successo commerciale e immagine esclusiva saranno sempre intrinsecamente legati.