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Tre passi per partire

, di Carlo Alberto Carnevale Maffe' - professore di strategia e imprenditorialita' alla SDA Bocconi
Le start-up sfidano la crisi e sognano la crescita. Ci riesce chi sa identificare la domanda e ha il team giusto, ma contano anche le caratteristiche del mercato del lavoro

Gli imprenditori non sono quelli che costituiscono le aziende, per questo bastano i notai. L'essenza dell'imprenditorialità non è il concepimento, ma l'impegno alla cura e alla crescita. Per chi pensa alla propria start-up, quindi, la metafora corretta non è la paternità, ma la maternità d'impresa: una scelta di dedizione indivisa e indivisibile. Per questo suona superficiale il dibattito sull'impresa-in-un-giorno o su srl-da-1-euro, perché rischia di distogliere gli aspiranti imprenditori dai veri problemi della loro scelta. Ossia ciò che succede dal secondo giorno e dal secondo euro di capitale sociale in poi.

Carlo Alberto Carnevale Maffé

Persino la fondata retorica della mancanza di capitali di ventura rischia di diventare un esercizio autoassolutorio dei giovani candidati imprenditori. La tradizione del mettersi in proprio soleva prendere le mosse dalla relazione con una base di mercato nota e accessibile. E il capitale necessario derivava spesso da quello dell'azienda di provenienza (senza bisogno di chiamarlo corporate venturing) oppure dal finanziamento del circolante da parte dei clienti stessi. Le caratteristiche delle start-up italiane sono in realtà le chiavi di accesso al brodo di coltura della crescita: l'identificazione di un chiaro mercato contendibile sul lato della domanda; la scelta della squadra, all'interno di un mercato del lavoro dinamico.La ragione fondamentale per cui oggi le start-up italiane faticano a crescere è la mancanza di clienti, non di azionisti. Se ci sono i primi, i secondi (e i capitali) arrivano. Ma non è necessariamente vero il contrario. Quindi la prima sfida è quella di identificare una domanda economica effettiva e accessibile. Le istituzioni possono aiutare questo processo, rendendo contendibile una grande quota del pil con liberalizzazioni di settori protetti e restringendo il perimetro della produzione diretta di servizi da parte di dipendenti (para)pubblici, in molti mercati, dal welfare socio-sanitario alle utility, dalla gestione delle risorse culturali a quella del territorio. Poi toccherà alle start-up andarsi a cercare mercati anche all'estero. È improbo far nascere nuove imprese di successo in mercati nazionali bloccati da rendite di posizione, ma è impossibile se l'imprenditore si aspetta che la domanda si materializzi da sola. Il secondo criterio per il successo è la squadra. Un'idea imprenditoriale ha bisogno di essere continuamente condivisa con i collaboratori. La leadership del team imprenditoriale deve andare di pari passo con l'accesso a un pool di risorse professionali adeguate, che spesso ha dinamiche territoriali e di contesto molto importanti. La sede di lavoro, per esempio, in un mercato professionale come quello italiano con scarsa mobilità territoriale, ha una significativa incidenza sul tasso di successo atteso. In generale, però, di fondamentale importanza alla crescita è il lavoro, sia dal punto di vista economico, per l'incidenza del cuneo fiscale, sia da quello giuridico, per la pletora di vincoli legislativi. La recente riforma del diritto del lavoro non sembra pensata per favorire le start-up, per la maggiore rigidità dei criteri di ingresso e per l'ampliamento delle potenziali aree di contenzioso e dei criteri di soggettività dell'intervento del giudice, e ha anzi creato le condizioni per appesantire i bilanci delle giovani aziende per la copertura dei rischi giuslavoristici. Ne è enfatizzata la capacità del neo-imprenditore di scegliersi collaboratori che sappiano condividere la peculiare e affascinante sfida organizzativa di una start-up.

Il lato positivo della crisi, però, è quello di aver riportato al centro dell'agenda pubblica il dibattito sullo sviluppo economico basato su una nuova cultura imprenditoriale. Serviranno forse altri shock di consapevolezza per ridurre lo spread tra vecchie prassi istituzionali e senso della realtà, affinché gli spiriti animali dell'imprenditorialità italiana sappiano trovare nuovi spazi per manifestarsi. E tornare ad amare la crescita.