Contatti

Trasformare gli eventi in opportunità

, di Michele Chicco
Per Matteo Morandi, ceo di Percassi Retail, il tempo si mette in pausa il 18 novembre 2021, quando il figlio ha un incidente e finisce in coma. Da quella esperienza nasce un volume, “Inattesa”, e una Fondazione che si occupa di sanità, scuola e sport

Ci sono date “spartiacque” che dividono i ricordi di una vita tra un prima e un dopo. Per Matteo Morandi è il 18 novembre 2021: il figlio Mattia, 17 anni, ha un incidente in moto e finisce in ospedale in fin di vita. Coma per due mesi, ricoverato per sei: 15 operazioni e un anno di riabilitazione. Per Morandi, manager di lungo corso e amministratore delegato di Percassi Retail, l’obbligo di riniziare da capo: “Tutto viene messo in discussione”, racconta oggi che il figlio è uno studente di medicina a Firenze e Fondazione Morandi Ets si occupa di celebrare il “dono” ricevuto, per restituire alla comunità la seconda chance che la famiglia ha avuto con la salvezza del giovane Mattia. Un percorso di vita raccontato nel romanzo autobiografico “Inattesa”, scritto con Lidia Labianca e pubblicato da Egea. 

Giorni e mesi durissimi, che impatto hanno avuto sulla sua vita?
A me piace definirlo devastante. Quando succedono queste cose tutto viene rimesso in discussione, ma noi abbiamo cercato da subito di cercare di trasformare il rischio di perdere nostro figlio in qualcosa di positivo. È stato l’approccio che ci ha portato a creare la fondazione Morandi che si occupa di sanità, scuola e sport per restituire alla comunità quello che a noi è stato ridato dopo un anno di lotta per riportare a casa nostro figlio. Ma per superare quei mesi ho dovuto raschiare il fondo del barile tante volte: bisogna trovare le energie che non ci si aspetta di avere e farlo continuamente. Non pensavo di saperlo fare, è stata una scoperta. 

Tutto da conciliare con la vita professionale. 
Erano i mesi in cui si usciva dagli anni complicatissimi legati al Covid, tra i periodi più complessi della mia carriera. Però l’energia la si trova se si cerca bene. E dal 2022 sono stati gli anni più belli: un evento inatteso può avere un impatto positivo nel momento in cui c'è una reazione. Anche quando pensi di averle viste tutte, devi saper svoltare per trasformare in positivo la paura più grande al mondo, la morte di un figlio. 

Qual è la chiave che vi ha fatto svoltare?
È qualcosa che devi avere dentro, perché in quei momenti sei completamente solo e non hai il background per affrontare le difficoltà. Non c’è un manuale. È stato tutto naturale, l’idea si è sviluppata nel giro di poche ore: Fondazione e libro. Non so che cosa è scattato nella mente, ma in quei momenti ti appigli a tutto. Mi sono appigliato alla fede, ma ovviamente alla professionalità e alla capacità dei medici: abbiamo avuto una fiducia sterminata nelle persone che abbiamo incontrato al San Gerardo di Monza. Una struttura pubblica incredibile, con un’equipe medica fantastica con eccellenze mondiali. 

Lei è stato studente dell'Università Bocconi, quali sono stati gli insegnamenti nel superare anche difficoltà inattese come queste?
Sono stato sempre uno studente atipico: polivalente, curioso, multidisciplinare e amante delle contaminazioni. In questi tre anni mi hanno aiutato la capacità di avere una mente pronta ogni giorno ad affrontare gli imprevisti e il saper gestire le incertezze. Credo che un'altra cosa che mi porto come bagaglio dai tempi dell’università è l’importanza della famiglia: è da sempre un elemento cruciale della mia vita.

Fondazione Morandi nasce sulla carta quando lei e sua moglie siete fuori dalla terapia intensiva. Di cosa si occupa?
Lavoriamo molto sulla sanità e sulla formazione dei medici e infermieri che si occupano della gestione dei grandi traumi e di chirurgia d'urgenza. Siamo focalizzati sulla riabilitazione, con un gruppo di fisioterapisti con cui inizieremo un percorso per sostenere la ripresa di chi non può pagare i costi per un buon recupero fisico. E poi stiamo lanciando un progetto di ricerca applicata sulle emorragie. 

La Fondazione si occupa anche di scuola e sport. 
Nel mondo della scuola sosteniamo con delle borse di studio i ragazzi che anche hanno poche possibilità economiche e vogliono intraprendere la carriera di medico o infermiere. Li aiutiamo a entrare nella facoltà di medicina, che è molto difficile. E la terza ‘S’ è quella di sport, nata per l'altra mia figlia che fa la pallavolista professionista, gioca in Serie A1 alla Uyba di Busto Arsizio. Abbiamo lanciato Tatticamente, un progetto per la costituzione di un protocollo medico-scientifico per allenare nello sport i ragazzi con disturbi specifici dell’apprendimento (Dsa). Qualcosa di unico in Europa: abbiamo messo a disposizione due neuropsichiatri e stiamo lavorando con una sessantina di allenatori per creare delle metodologie di allenamento per quei ragazzi che hanno un modo di capire, intendere, leggere, scrivere del tutto originale. Un progetto gigantesco.

Come concilia le sue due nuove professionalità?
Ormai è diventata una missione, ma c'è anche mia moglie Paola che mi dà una mano fortissima e abbiamo all'interno della fondazione un comitato tecnico-scientifico che ci supporta nelle scelte. La fondazione è stata costruita con un approccio long term, abbiamo degli amici che ci aiutano e tutto è fatto in maniera completamente gratuita: tutto il fundraising che facciamo va nella totalità a finanziare i progetti. Siamo volontari, un impegno enorme che dà una soddisfazione immensa. 

Anche i ricavi del libro vanno tutti a sostenere la fondazione?
Tutti i ricavi e tutti i diritti di autore con Egea vengono dati alla Fondazione. Abbiamo un grande progetto in cantiere: la costruzione di Casa Morandi, un edificio fisico che vorremmo realizzare all'interno del Comune di Monza in cui noi riusciremo ad erogare i nostri servizi gratuitamente. L’obiettivo è integrare tutto quello che facciamo, dalla riabilitazione, alla formazione e supporto comunitario in un contesto altamente funzionale e sinergico. Ci stiamo lavorando con Regione Lombardia e con il San Gerardo di Monza. Vogliamo che questa Casa sia adibita anche alla terapie del dolore e alle cure palliative pediatriche, per aiutare le famiglie nella gestione dei bambini che sono in fase terminale. Un argomento difficilissimo da affrontare.