Tra chi accantona e chi investe il vaso di coccio e' il consumo
Una delle ragioni alla base del minore impatto della crisi sul sistema bancario italiano sarebbe, per alcuni, una maggiore solidità di quest'ultimo rispetto a quelli di altri paesi, caratterizzati da minore propensione al risparmio della popolazione e da un uso più disinvolto di strumenti finanziari strutturati.
Al di là della discutibilità di tali affermazioni, resta il fatto che in Italia la tendenza a destinare a risparmio una porzione consistente del reddito è superiore a quella della maggioranza dei paesi occidentali. Nonostante tale trend sia oggi in relativo declino a causa, ad esempio, della penetrazione di strumenti di credito al consumo, in una prospettiva di lungo periodo l'Italia ha saputo coniugare il processo di modernizzazione economica e di accesso a modelli consumistici con una discreta capacità di accumulazione di risparmio, in parte destinato a confluire nei circuiti di intermediazione finanziaria a disposizione delle imprese.È interessante tratteggiare un quadro degli andamenti di tale tendenza, ponendola in relazione sia con tratti di matrice culturale che con gli aspetti di matrice economico-istituzionale. Un primo elemento storicamente rilevante è la struttura della società italiana negli anni di formazione della base industriale del paese. Nonostante alcune anche importanti esperienze 'industriali', l'Italia dei decenni che seguono l'unificazione è un paese agricolo, arretrato e povero. E' per questo un paese che, a parte la realizzazione di una coraggiosa politica infrastrutturale e ferroviaria, consuma poco, mantenendo in tal modo un equilibrio di bilancia commerciale attraverso l'esportazione di prodotti agricoli e seta e la limitata importazione di prodotti sofisticati provenienti dall'Europa industriale. Forse troppo semplicistico il parallelo con la Cina di oggi. Tale equilibrio dei bassi consumi subisce un'iniziale frattura negli anni che precedono il primo conflitto mondiale, quando prende corpo un nucleo solido di base industriale. Gli inevitabili squilibri che ciò genera, in particolare provocati dalla necessità di importare tecnologie e materie prime, vengono superati anche grazie a un primo, grande episodio di 'accumulazione collettiva' di risparmio proveniente dalle rimesse delle migliaia di emigranti che dagli anni Settanta dell'Ottocento lasciano il paese. Con una bilancia commerciale in passivo e una valutaria in attivo, insomma, l'Italia finanzierà gran parte del processo di modernizzazione avviatosi dai primi anni del secolo passato. L'ambiguità del rapporto tra consumi e risparmi si accentua tra le due guerre. L'Italia fascista, ruralista e autarchica, non può non esaltare le virtù del risparmio e dell'accumulazione. Al contempo, già a partire dalla rivalutazione di Quota Novanta nel 1926, basata su una riduzione unilaterale degli stipendi dei dipendenti pubblici, colpisce una già bassa propensione al consumo, lasciando alle grandi imprese italiane una valuta relativamente rafforzata ma un mercato poco dinamico. Se i blue collar della Ford, i meglio pagati del mondo, potevano acquistare una Modello T con poche mensilità, i loro colleghi torinesi erano invitati dall'azienda ad acquistare in società una Balilla da usare a turno. In tutto questo, la propensione tenace al risparmio non viene meno, sottraendo ulteriori opportunità ai consumi non primari. Il miracolo economico rappresenta una rottura con tale situazione, ma meno netta di quanto si potrebbe pensare. Poiché larga parte del processo di crescita è spiegata dall'allocazione del reddito prodotto in nuovi investimenti, piuttosto che in incrementi salariali, a loro volta destinati a incrementare risparmi finalizzati all'acquisto di beni durevoli (la casa) o semidurevoli (automobili ed elettrodomestici) invece di consumi immediati, una tendenza non attenuata dalla crisi iperinflattiva degli anni Settanta e dalle dinamiche di ristrutturazione nel decennio seguente. Il rapporto tra reddito, consumi e risparmi in Italia, insomma, si muove storicamente tra la necessità di equilibrare le esigenze della crescita, ma anche quelle delle priorità di consumo della popolazione e di una diffusa cultura dell'accumulazione le cui radici sono da rintracciare nel tempo lungo e nei caratteri di una società caratterizzata da mentalità profondamente rurale fino a tempi recentissimi.