Contatti

Sport, arriva la carica dei quarantamila

, di Simone Baglioni - ricercatore presso il Dipartimento di analisi istituzionale e management pubblico della Bocconi
La società italiana stenta ancora a riconoscerne la rilevanza nel sistema di welfare

Il sostegno economico che, nel nostro paese, lo stato dedica alla promozione della società civile o del terzo settore che dir si voglia è tradizionalmente limitato. Prova ne è il crescente numero di associazioni non-profit che si candidano ad ottenere parte dei fondi alimentati dal 5 per mille dell'Irpef. Quest'anno, la platea dei potenziali beneficiari del meccanismo si è notevolmente allargata, passando dai 31.773 candidati del 2007 ai 77.823 resi noti dall'Agenzia delle entrate nello scorso mese di maggio. Questo allargamento è dovuto all'inclusione di 43.583 associazioni sportive dilettantistiche tra i potenziali soggetti beneficiari, a fronte di 33.791 enti di volontariato e associazionismo culturale, 359 istituti di ricerca universitaria e non, 90 istituzioni di ricerca in ambito sanitario. Tuttavia, l'ammissione dell'associazionismo sportivo dilettantistico ha suscitato quasi unanimi critiche. I commenti, pur nella varietà della forma espressiva, possono essere sintetizzati in una semplice frase: cosa c'entra lo sport con il volontariato e con il terzo settore? Si tratta di reazioni paradossali poiché in gran parte dei paesi europei lo sport è parte, e che parte, del terzo settore e dell'associazionismo volontario di promozione sociale. In Italia no. O meglio, nel nostro paese, sia gli attori sociali collettivi (associazioni, enti, gruppi) considerati come componenti di diritto del terzo settore, sia chi quel settore lo ha studiato, codificato, sistematizzato cognitivamente nel quadro più ampio del sistema sociale ed economico italiano, hanno entrambi agito ignorando lo sport. Eppure l'associazionismo sportivo non professionistico, la stragrande maggioranza di quel mondo, costituisce una formidabile riserva di volontariato e di impegno sociale.

Come dimostrano le ricerche in materia, quasi il 90% delle mansioni interne a un'associazione sportiva sono svolte da volontari che dedicano, in media, 4 ore alla settimana del proprio tempo libero alla realizzazione del loro impegno nel settore. Inoltre, è difficile negare, poiché lo affermano le nostre politiche educative e giovanili nazionali e locali, che lo sport sia sistematicamente utilizzato come strumento di educazione civica e fisica e che, dunque, i soggetti sportivi rientrino tra quelli che contribuiscono alla costruzione del nostro welfare.

E allora perché stupirsi tanto se oltre quarantamila associazioni dilettantistiche riconosciute dal Coni possono richiedere di accedere ai fondi disponibili con il sistema del 5 per mille? Lo sport è stato tradizionalmente pochissimo sostenuto, in termini economici, dallo stato italiano. Sono in gran parte le famiglie ad averlo finanziato, nonostante esso svolga funzioni equiparabili, come altri soggetti del terzo settore, a un servizio pubblico. Sarebbe dunque auspicabile che chi studia e chi vive il volontariato in Italia allarghi lo sguardo oltre i confini dell'associazionismo cooperativo, solidaristico, culturale, ambientale per cogliere pienamente la complessità delle nostre società civili.

Agli inizi del Novecento l'élite cultural-accademica italiana si oppose all'introduzione dello studio sistematico dello sport come fenomeno sociale ed economico nelle università, considerandolo come un mero passatempo, residuale rispetto ad altre dimensioni della vita del paese. Leggendo le reazioni degli esperti e di una parte del terzo settore italiano di fronte all'inclusione dello sport come settore di promozione del volontariato, si è quasi convinti che quell'attitudine non sia ancora svanita, nonostante il ruolo acquisito dallo sport nella nostra società negli ultimi decenni.