Speriamo che almeno ci rimanga la salute
Le ultime previsioni indicano nel 4% la riduzione del pil italiano nel 2009, un dato pesante senza precedenti nel dopoguerra. Ma per capire l'impatto sociale e sanitario non basta fermarsi ad un dato medio. Una riduzione del 4% di tutte le retribuzioni avrebbe conseguenze diffuse ma probabilmente gestibili. Invece, una riduzione del 4% concentrata in una piccola frazione della popolazione, il cui reddito dovesse diventare zero per effetto della perdita del lavoro, avrebbe un impatto sociale ben diverso.
Nel contesto italiano l'effetto occupazionale della crisi tende a riversarsi sulle persone con lavoro autonomo e con contratti a termine. La crisi colpisce duramente i giovani e le persone che si trovano nella parte meno protetta del mondo del lavoro. I periodi di crisi drammatizzano i temi di giustizia sociale e mettono in rilievo i limiti del nostro sistema di sicurezza sociale. La perdita del lavoro può avere un forte impatto sulla salute, a partire da quella mentale. Evidenze empiriche mostrano che le persone disoccupate sono a maggiore rischio di suicidio, disturbi mentali e malattie cardiovascolari. Studi condotti in Inghilterra mostrano che essere disoccupati è associato a un aumento del 20-25% della mortalità. La perdita del lavoro cambia radicalmente le prospettive di vita delle persone generando ansia, depressione e gravi forme di somatizzazione. Inoltre, improvvise e repentine riduzioni di reddito possono causare cambiamenti negli stili di vita (assunzione di alcol e sostanze stupefacenti, propensione verso il rischio). In generale, le situazioni di crisi economica possono compromettere le capacità individuali di autotutela della salute. La perdita di lavoro può anche impattare su programmi di vita delle persone, compresa quelli riproduttivi. E' probabile che la maggiore incertezza e la riduzione di reddito portino a posporre scelte riproduttive e di programmi di vita di coppia.Il nostro sistema sanitario, anche per il suo carattere universale e territoriale, può contribuire in modo decisivo ad alleviare l'impatto della crisi. Cinque raccomandazioni appaiono cruciali. Rilevare più celermente le situazioni più critiche: la crisi si riversa in particolare su un numero limitato di persone che hanno bisogno di essere individuate e aiutate in modo tempestivo. Potenziare i servizi sensibili alla crisi: laddove si registra un aumento di domanda di assistenza, il sistema deve immediatamente reagire, aumentando la capacità di risposta; ciò vale soprattutto per i servizi di salute mentale e di assistenza sociale. Non dismettere i programmi di sviluppo: i livelli relativamente contenuti della spesa sanitaria pubblica italiana, l'incremento della domanda di assistenza attesa nei prossimi anni e l'intensità di lavoro che caratterizza il sistema sanitario suggeriscono di usare la spesa sanitaria in senso anticiclico, non riducendo in termini assoluti la spesa e comunque portando avanti i programmi di sviluppo. Sostenere il settore non-profit, che fornisce una parte dell'assistenza, anche sanitaria. Soprattutto nelle aree socialmente più marginalizzate, la presenza di queste organizzazioni permette di raggiungere in modo rapido persone che altrimenti, per vari motivi, rimarrebbero fuori dai circuiti istituzionalizzati di assistenza. Non ridurre gli aiuti internazionali allo sviluppo. La riduzione di tali finanziamenti, giustificata in base a priorità interne, avrebbe ripercussioni pesantissime sui sistemi sanitari dei paesi più poveri, che spesso riescono a operare solo per merito di finanziamenti internazionali.