Se l'Europa si chiude a riccio
Come avvenuto più volte in passato, quando il ciclo economico diventa meno favorevole e si affacciano segnali di rallentamento, se non di recessione, nelle maggiori economie industrializzate si riaffacciano timori di una eccessiva apertura e liberalizzazione dei mercati. Beninteso, oggi le ansie vengono accresciute dal contagio internazionale degli eventi legati alla corrente crisi finanziaria originata dai mutui subprime negli Usa.
Negli anni 2000 il ritmo della globalizzazione dell'economia mondiale (misurato dai vari indicatori di commercio, investimenti diretti e finanza) ha continuato a mantenersi elevato, anzi è accelerato con la prepotente avanzata dei paesi asiatici, il rilancio dell'America Latina, della Russia e segnali di crescita sostenuta perfino nell'Africa Sub-Sahariana. Ma proprio questa crescente partecipazione dei nuovi protagonisti dello sviluppo mondiale, molti dei quali favoriti da un sensibile rialzo dei prezzi delle materie prime, genera segnali di disagio (se non di paura) che inducono pulsioni di difesa protezionistica nella vecchia Europa, ma ormai anche nell'America proiettata sul dopo-Bush, con un Congresso a maggioranza democratica e un debito estero sempre più insostenibile.
Il negoziato multilaterale della Wto, che porta ancora l'ambizioso nome di Doha Development Round, è da molti mesi allo stallo, in attesa che paesi ricchi e paesi emergenti facciano qualche ulteriore passo nelle concessioni reciproche: minori sussidi e dazi sui prodotti agricoli da parte di Ue e Usa, maggiori concessioni da parte del forte gruppo dei paesi emergenti quanto a picchi tariffari e contingentamenti nei manufatti e all'apertura del mercato di alcuni servizi. Segnali molto recenti da Ginevra, rafforzati da dichiarazioni del dg della Wto, Pascal Lamy, fanno intravvedere una possibile svolta nelle prossime settimane, ma la cautela è d'obbligo.
Nel frattempo fioriscono iniziative di accordi preferenziali bilaterali tra singoli blocchi di paesi, particolarmente trainati dagli Usa (tra i casi recenti: Giordania, Marocco, Colombia, Perù, Sud Corea). Accordi bilaterali che, pur nel rispetto formale degli statuti del Gatt-Wto, complicano la vita delle imprese esportatrici e investitrici e aumentano costi e complessità amministrativa dei controlli doganali sulle regole d'origine dei prodotti.
Le forti pressioni migratorie dai paesi a basso reddito e l'estendersi delle pratiche di offshoring di servizi a valore aggiunto (dai call centre al software applicativo per il design dei prodotti, alle procedure contabili e fiscali, alle diagnosi radiologiche) alimentano le preoccupazioni di importanti strati sociali nei paesi ricchi, all'interno dei quali vanno peraltro accentuandosi le disuguaglianze tra classi di reddito ed emergendo nuove povertà. Contrariamente a una certa mitologia anti-global, le imprese multinazionali continuano a operare come forti diffusori di tecnologie e modernizzazione dei processi produttivi, inducendo in larga misura miglioramenti negli stessi standard sociali e del lavoro nei mercati emergenti e stimolando una cultura competitiva nei paesi industrialmente avanzati.