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Scorciatoie che portano a 16.700 condanne

, di Massimo Livatino e Fabrizio Santaloia - rispettivamente, ricercatore presso il Dipartimento di accounting della Bocconi; partner forensics di PricewaterhouseCoopers
Laboratorio frodi. I dati che fotografano l'evoluzione del fenomeno nel periodo dal 2000 al 2008

Il fenomeno delle frodi aziendali tra il 2000 e il 2008, in Italia, è in decisa crescita e registra un aumento medio annuo del 7% e un aumento totale del 36%, passando da poco meno di 12.400 a oltre 16.700 condanne annue. Lo evidenzia uno studio del Laboratorio Frodi, nato dalla collaborazione fra l'Osservatorio di Revisione di SDA Bocconi e PwC, su un campione di 85.304 condanne definitive per reati economici-finanziari che hanno avuto un impatto sulle imprese nel periodo 2000-2008. Quasi il 40% delle condanne è emerso nell'ambito di procedure concorsuali, che comprendono condotte illecite quali falsificazioni contabili e frodi di bilancio per occultare il dissesto, distrazione di asset aziendali e omesse comunicazioni; il 21% delle frodi è rappresentato dall'appropriazione indebita, il 19% dalla contraffazione e pirateria commerciale, mentre i fenomeni corruttivi sono solo il 7% delle condanne. È di particolare evidenza la diffusione del fenomeno contraffazione, per il quale nel 2008 si osserva un aumento delle condanne del 164% rispetto al 2000 e del 76% rispetto al 2006.

A prima vista i dati sembrano confermare che le condotte illecite danneggiano le imprese, portandole al dissesto o aggravandone le conseguenze, e che vengono a galla soprattutto quando il management non può più nasconderle perché sono fuori dal suo controllo, o quando è ormai troppo tardi per rimediare. Emergerebbe inoltre che gli illeciti sono meno frequenti nelle imprese sane, soprattutto per quanto riguarda le falsificazioni contabili ed extra-contabili, che rappresentano solo il 4% del totale delle condanne.

Il panorama che emerge dalla ricerca è sconfortante, e costituisce solo la punta dell'iceberg, non solo perché lo studio ha considerato le sentenze definitive, non rilevando i procedimenti ancora in corso, ma soprattutto perché la condanna costituisce il momento ultimo del "ciclo di vita della frode" che, dopo la commissione dell'illecito, passa (non sempre) per la sua scoperta e quindi (nel 30% dei casi) per la sofferta decisione di denunciare il fatto alle autorità competenti (e al mercato) nella speranza di ottenere giustizia e compensare i danni materiali e d'immagine.Al fine di combattere la diffusione delle frodi e della criminalità economico-finanziaria, le aziende dovrebbero adottare adeguate strategie di potenziamento degli strumenti di controllo esistenti, in specie quelli riferiti al D.Lgs. 231/2001, introducendo procedure e sistemi di monitoraggio antifrode. Tuttavia spesso sono le stesse aziende a tirarsi indietro, per i costi da sopportare e, ancor di più, per i richiesti mutamenti rispetto ad abitudini radicate. La formalizzazione delle procedure, ad esempio, nel contesto italiano non di rado è introdotta malvolentieri solo per effetto di acquisizioni estere, benché sia provato che i pur significativi costi iniziali per il potenziamento dei sistemi di controllo sono ampiamente controbilanciati, nel medio termine, dai benefici effetti sul business. Come spesso accade, è ancora una volta un problema di sensibilità e di cultura. Concentrandosi sul versante aziendale, occorre che le imprese condividano un complesso di core value, politiche e modalità operative, quali la creazione di un modello di business in virtù del quale gli obiettivi degli stakeholder siano perseguiti senza contraddizioni; la definizione di compensi e benefit adeguati non solo per i dirigenti, ma anche per i dipendenti; l'adozione di una open-door policy da parte dei dirigenti e l'umanizzazione dell'ambiente lavorativo; la formazione interna dei dipendenti, in vista di un comune obiettivo di crescita; il rispetto dello spirito, oltre che della lettera della legge, applicando alti standard operativi in qualunque parte del mondo, anche dove le regole sarebbero meno rigide. Occorre perciò che le imprese investano nella cultura aziendale, da intendersi come la fonte primaria del proprio vantaggio competitivo, che consente di avere una resistenza di lungo periodo alle pressioni esterne, ma anche di sapersi adattare in modo tempestivo, se necessario, a mutate condizioni di mercato, senza cedere alla tentazione di intraprendere scorciatoie.