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Sappiamo misurare davvero la ricchezza delle famiglie?

, di Stefano Gatti - associato presso il Dipartimento di finanza
Le alternative al pil per cogliere il benessere delle nazioni

Il presidente dell'Istat Enrico Giovannini ha affermato di recente che tra il 1999 e il 2008 la quota di ricchezza nazionale che non va alle famiglie e finisce a banche e finanza è raddoppiata, mentre si è ridotta di un terzo la quota che va alle imprese. È una buona occasione per discutere di due temi attuali: la modifica dei saldi finanziari settoriali in Italia; l'opportunità di continuare a misurare il benessere di un paese attraverso un indicatore come il pil. I saldi finanziari misurano la capacità di risparmio finanziario di un settore istituzionale (famiglie, imprese, società finanziarie, pubblica amministrazione e resto del mondo) e colgono bene la capacità di accumulazione del risparmio nonché i settori nei quali questo risparmio viene impiegato.

Le affermazioni del presidente dell'Istat sono confortate dai dati della Banca d'Italia che indicano che le famiglie italiane passano, dal 2005 al 2008, da un saldo finanziario del 4,5% rispetto al pil al 2,8%. Il saldo finanziario del resto del mondo passa invece da -0,8% a -3,1% sempre rispetto al pil. A questo va aggiunto che le imprese sperimentano un aumento di saldi finanziari negativi dal -2,1% al -3,6%.La lettura che si può dare lascia spazio a diverse interpretazioni. Tuttavia, fare riferimento ai dati 2008 consente almeno di limitare l'effetto derivato dall'avvio della crisi finanziaria e reale che ha segnato il 2009. In sostanza, le famiglie italiane esprimono minore capacità di generazione di risorse finanziarie destinabili agli investimenti produttivi, le imprese mostrano un più alto fabbisogno finanziario e il sistema economico italiano deve appoggiarsi in modo più pesante sul resto del mondo per arrivare a un equilibrio finanziario interno. Per le famiglie in particolare, Giovannini sostiene che tra il 1999 e il 2008 il pil è cresciuto più del reddito disponibile dei nuclei familiari. Fatto 100 il pil nel 1999, nel 2008 l'indice è arrivato a 111, il reddito disponibile lordo delle famiglie a 107. La misura del benessere attraverso il pil sembrerebbe indicare quindi una riduzione di benessere delle famiglie italiane. Tuttavia il dato probabilmente sottostima tale perdita. Sempre di più, infatti, il ruolo del pil come misuratore del welfare è contestato. Il presidente Nicolas Sarkozy ha creato una commissione, coordinata da Joseph Stiglitz, Amartya Sen e Jean Paul Fitoussi, per studiare le soluzioni alternative alla misurazione della performance economica, di benessere sociale, di conservazione delle risorse ambientali e di social sustainability. Il rapporto presenta 12 raccomandazioni che dovrebbero servire ai governi per migliorare la produzione del "benessere" in termini più ampi di quelli colti dalla misura di pil. La prima raccomandazione è che la valutazione del well-being dovrebbe basarsi sul reddito e sul consumo (con considerazione ulteriore della ricchezza accumulata) più che sulla produzione. In questo quadro l'enfasi dovrebbe spostarsi su reddito e consumo delle famiglie, indicatori più diretti per cogliere il benessere dei cittadini. Tra l'altro, l'utilizzo dei valori mediani rispetto ai valori medi dovrebbe consentire di cogliere meglio i comportamenti individuali o familiari 'tipici'. La commissione suggerisce inoltre di ampliare gli aggregati sotto osservazione, di affinare misure della qualità della vita in grado di captare il senso di sicurezza, la rappresentatività e le ineguaglianze, e di creare indicatori in grado di cogliere in modo più puntuale quanto bene vivono gli individui nel proprio paese.Tremonti ha l'impressione "che la realtà italiana non sia esattamente catturata dai meccanismi del pil, poiché la consistenza dei global asset italiani è maggiore di quanto risulta dal pil". Segnale che anche in Italia il dibattito è a maturazione.