Salute. Prima misurare, poi intervenire
La salute, quando manca, diventa l'evento della nostra vita, quello dal quale tutto dipende. Allo stesso modo, la sanità, quando è malata, diventa l'oggetto per eccellenza della campagna elettorale. È vero soprattutto per le regioni, viste le risorse che la sanità assorbe, in alcuni casi oltre l'80% del budget.
Negli ultimi mesi si sono susseguite diverse discussioni. Ma qual è il punto? È davvero la politicizzazione delle nomine dei direttori generali che mina l'efficienza e la qualità delle cure? È davvero una regolamentazione lasca dei prezzi dei beni e servizi che minaccia l'equilibrio economico-finanziario dei budget ospedalieri? È la resistenza al generico il colpevole dell'aumento della spesa farmaceutica? È la riduzione dei posti letto ciò che ci salverà dall'insostenibilità del sistema sanitario? Non è, invece, che abbiamo perso di vista il punto?
Cominciamo dall'inizio. Il nostro sistema sanitario si fonda sul principio dell'universalismo delle cure, da erogare cioè a chi ne abbia bisogno, a prescindere dal reddito e dal profilo di rischio. Se è in questi principi che vogliamo continuare a credere, cosa dobbiamo aspettarci da un sistema sanitario che li interpreta? Un servizio di tutela della salute che abbia come obiettivi primari l'erogazione di cure efficaci, eque, a prescindere dalla zona geografica di residenza, economicamente sostenibili.
Se sono questi i risultati che ci aspettiamo, allora misuriamoli e partiamo da lì. Ad esempio, qual è la mortalità per malattie cardiovascolari nelle regioni italiane? E l'incidenza dei tumori? Sono fattori modificabili o attengono alle caratteristiche intrinseche della popolazione nelle diverse regioni? Probabilmente la prima spiegazione prevale sulla seconda. E allora perché queste differenze? Stili di vita scorretti o prevenzione inefficace? Chirurghi con poca esperienza? La lista è lunga, lunghissima, le cause possibili centinaia. E tutte vere. Con accuse incrociate che puntano il dito sugli sprechi, gli scandali e vedono in un maggior centralismo del livello di governo la soluzione o, viceversa, nella riduzione dell'intervento pubblico a favore del mercato.
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Rosanna Tarricone |
Il punto centrale della questione, invece, è che se misurassimo e confrontassimo i risultati, rendendoli pubblici, avremmo lo strumento giusto per chiedere di rendere conto delle diverse performance. Se premiassimo i migliori e incentivassimo i peggiori a cogliere l'opportunità del confronto per studiare processi di miglioramento, potremmo qualificare il dibattito su quello che davvero ci interessa: una tutela della salute efficace, equa e sostenibile. Ma i migliori devono essere premiati davvero. E i peggiori devono avere la possibilità di migliorare davvero.
Per farlo, se sono bravi e soprattutto certi della ricompensa, utilizzeranno tutti gli strumenti già a loro disposizione per rendere la produzione di salute efficace, equa e sostenibile. Ridurranno i posti letto ospedalieri, si adopereranno per integrare ospedale e territorio, programmeranno servizi e procedure in base al reale fabbisogno. Probabilmente non ci sarebbe bisogno di decreti per incentivare l'utilizzo efficiente delle risorse se ci fosse la certezza che gli sforzi saranno misurati e i miglioramenti premiati. A questo punto poco importerebbe se le cariche sono politiche perché quello che conta sarebbe la responsabilità sui risultati. Ma anche i cittadini devono fare la loro parte, senza barattare il rischio di incappare in un sistema sanitario che non li tuteli con la probabilità di godere di favoritismi immeritati. Però queste scelte chiedono coraggio. È questo il punto.