Rientro dei capitali... dalle regioni
Il futuro e la sostenibilità del Ssn sembrano, sempre più, aggrappati all'efficacia dei piani di rientro (pdr) sottoscritti da regioni, ministero della Salute e ministero dell'Economia allo scopo di ristabilire l'equilibrio economico-finanziario dei sistemi sanitari regionali e rimuovere le cause strutturali dei disavanzi. I pdr interessano 10 regioni, metà delle quali sono commissariate e altrettante hanno richiesto un prolungamento del piano.
Ciò lascia pensare, insieme alla riduzione di finanziamento e alla spending review in sanità, che non saranno né occasionali né circoscritti a queste sole realtà. Sono strumenti complessi, i pdr, sia dal punto di vista normativo che manageriale. Alla loro elaborazione, implementazione e monitoraggio concorrono, per esempio, diversi soggetti individuali e collettivi in modo non sempre coordinato e con attività piuttosto eterogenee. Trovano, però, una propria solida legittimazione nella ricerca di nuove e moderne coerenze a livello di sistema regionale, che lo rendano sostenibile finanziariamente. Idealmente la loro storia si articola in due stagioni.
La prima, nel triennio 2007-2009, ha interessato sette regioni, in prevalenza centromeridionali: tra queste Campania, Lazio, Sicilia, responsabili di circa il 70% del disavanzo nazionale. In questo periodo, il taglio dei costi è stato prioritario ma non ha comportato la rimozione delle cause strutturali dei disavanzi. Nella seconda, a partire dal 2010 con tre nuove regioni, tra cui il Piemonte, e il prolungamento del piano in cinque, pare registrarsi un'accelerazione degli interventi strutturali con una maggiore diffusione di modelli e strumenti manageriali avanzati, che tuttavia non sempre incontrano la soddisfazione dei decisori di sistema e di azienda.
Dall'analisi di questi contesti emerge che, tra gli strumenti manageriali, due sono alquanto consolidati: la pianificazione strategica e le linee guida. E che gran parte degli strumenti più impiegati, forse i più efficaci nella riduzione dei costi, sono i meno preferiti, come il blocco del turnover del personale, la fusione e le reti tra aziende, probabilmente perché i punti di debolezza prevalgono nel lungo periodo oppure perché i risultati sono inferiori alle attese a fronte di un aggravio di costi organizzativi.
Tre strumenti, invece, pur non essendo diffusi riscuotono larghe preferenze: si tratta dei programmi di gestione del cambiamento, l'analisi degli scenari, le strategie direzionali. A differenza degli altri strumenti richiedono una maggiore partecipazione, preparazione e tempi più lunghi. Altri strumenti, infine, sono ancora in fase sperimentale in sanità: i sistemi di performance management, il benchmarking, il knowledge management, ma sono quelli intorno ai quali crescono progressivamente le maggiori attese. La scelta degli strumenti si basa innanzitutto sulla loro legittimazione culturale e tecnica, più ancora che sulla semplicità e flessibilità d'uso. Legittimazione riflessa tanto dalla sperimentazione in altre regioni quanto dal riconoscimento scientifico in ambito accademico. Ma la legittimazione non è sufficiente: il loro fallimento è dietro l'angolo a causa dei giochi politici tipici dei contesti organizzativi professionali pubblici, che spesso comportano stalli strategici oppure diluizione del cambiamento organizzativo.
Come dire che l'uso degli strumenti da solo non basta, ma è necessario uno sforzo collettivo eccezionale, esteso, continuo e prolungato nel tempo per ridurre strutturalmente i disavanzi sanitari.