Rating troppo americano?
"Quis custodies ipsos custodes" (chi controllerà i propri controllori?) era la domanda che Giovenale si faceva nelle satire quasi duemila anni fa, ma che oggi è sempre attuale: perché il mondo è cambiato profondamente da allora ma l'uomo è rimasto lo stesso, sempre preda delle proprie emozioni e incertezze.
A questa domanda non sfuggono, oggi in particolare, le agenzie di rating – Standard and Poor's, Moody's, Ficht, tutte statunitensi - che attualmente sono sotto accusa per comportamenti opachi e ritardati nelle loro valutazioni lasciando, specie negli ultimi dieci anni, troppo spazio a critiche e dubbi sulla loro attendibilità e indipendenza come controllori rispetto ai controllati paganti.La tardiva uscita sulla Grecia non è che l'ultima di una serie di errori valutativi che hanno condizionato i mercati finanziari, come la tripla A assegnata a Lehman Brothers fino a pochi mesi dal fallimento, la sottovalutazione del mercato dei sub prime, dei mercati emergenti, della bolla della new economy, del default russo e di quello argentino. L'insieme delle situazioni che hanno visto protagoniste in modo negativo le agenzie di rating si sono andati intensificando negli ultimi tempi generando scompensi, alterazioni e danni nei mercati finanziari rendendoli ulteriormente imprevedibili. In questo contesto di instabilità aumentano i dubbi sul loro reale livello di accountability e di conseguenza sull'idoneità dei loro modelli di previsione dei mercati finanziari a cogliere elementi di alta variabilità dipendenti, in gran parte, dal contesto emozionale che condiziona in modo negativo la presunta razionalità delle decisioni. Proprio su questi due ultimi aspetti - dinamismo ed emozionalità - è necessario riflettere per capire le difficoltà interpretative dei mercati finanziari che condizionano il dibattito attuale e quali linee perseguire per attenuare questi problemi.Il contesto socioeconomico si è andato arricchendo, all'aumentare della globalizzazione, di problematiche sempre più interconnesse di vario carattere – religiose, politiche, sociali, ambientali, economiche - che hanno contribuito ad aumentare in modo esponenziale il numero delle variabili indipendenti; ciò ha reso estremamente difficoltosa la costruzione di modelli idonei a contenerle e a prevedere il loro evolversi per l'alto e imprevedibile livello di interdipendenza. Peraltro il loro continuo e variabile dinamismo non consente più di potersi rifare alle serie storiche e agli eventi passati, specie nei mercati finanziari dove entra in gioco anche la componente dell'instabilità emotiva dell'uomo. Di conseguenza, i tempi necessari per elaborare modelli valutativi, implementarli e verificarli finiscono inevitabilmente per essere più lenti rispetto a una realtà più veloce e quindi si arriva in ritardo nei giudizi, come la storia ci sta dimostrando.Gli studi sulla finanza comportamentale mostrano come la finanza sia condizionata dalle debolezze umane fatte di euforia, quando le cose vanno bene, e di depressione, quando vanno male, che influenzano quindi il corso degli eventi attuali e le aspettative di quelli futuri in modo non razionale e quindi, oggi, non standardizzabile. Il contesto emozionale e valoriale delle decisioni è condizionato dai modelli socio-culturali in cui gli uomini si trovano ad agire; i modelli statunitensi, ad esempio, sono diversi da quelli dell'Europa continentale perché più orientati a premiare comportamenti finalizzati alla massimizzazione del risultato anche a costo di normalizzare quelli illeciti. In che misura, allora, le agenzie di rating, espressione del modello culturale e valoriale socio-economico statunitense, sono coerenti a valutare il contesto europeo dove vi è una maggiore attenzione ai sistemi di welfare e un'economia meno sfacciatamente liberista? Forse è necessario pensare alla costituzione di agenzie europee, espressione del proprio modello socio-economico, che confrontandosi con le statunitensi consentano di temperare le asimmetrie fra realtà così diverse, di ridurre posizioni troppo monopolistiche, di ridurre il potere del mercato rispetto agli stati nazionali e di favorire un confronto condiviso sui percorsi di sviluppo.