Quando a Roma comanda la Bce
La lettera della Banca centrale europea del 5 agosto ha segnato un punto di svolta nei rapporti tra le istituzioni europee e gli stati membri della Ue. Anzitutto per il suo mittente: non la Commissione europea, il "cane da guardia" dei trattati europei i cui moniti agli Stati membri sono per così dire di normale amministrazione, bensì la Bce. Una istituzione che formalmente ha compiti diversi, quello di garantire la stabilità della moneta unica e contrastare l'inflazione, assicurando la stabilità dei prezzi. In secondo luogo per il destinatario della missiva: l'Italia, paese cofondatore della Comunità europea, membro dell'euro dall'inizio, la quarta economia dell'Unione.
Ma è il contenuto e il tono che fanno colpo. La Bce detta all'Italia niente di meno che un preciso programma di governo, e non solo dell'economia. Strategia di riforme, liberalizzazione piena dei servizi pubblici e delle attività professionali, riforma della contrattazione collettiva, sistema pensionistico, pubblico impiego, fiscalità locale, misurazione dei risultati nella giustizia, nell'istruzione, nella sanità. Tutte misure che l'attuale governo ha messo sin dall'inizio nel suo programma senza portarlo a termine se non in minima parte. Quanto al tono, la Bce si rivolge al nostro governo in termini perentori: "è necessario", "c'è l'esigenza", "ulteriori misure di correzioni del bilancio sono necessarie". Ed infine: "consideriamo cruciale che le azioni elencate... siano prese il prima possibile per decreto legge, seguito da ratifica parlamentare entro al fine di settembre 2011". La lettera è stata fatta trapelare il 29 settembre proprio perché entro il termine, nonostante la manovra di ferragosto, gran parte delle misure non sono state adottate? E' chiaro che l'Italia si trova in una situazione di sovranità limitata, con tutti i nodi venuti al pettine, da quando i mercati non sono più disposti a rifinanziare continuamente il nostro gigantesco debito, neppure agli attuali tassi crescenti, in assenza di un nostro credibile impegno "alla sostenibilità di bilancio e alle riforme strutturali". Questa ingerenza degli enti finanziari internazionali nella gestione dell'economia di paesi sovrani non è una novità. Per molto meno il Fondo monetario internazionale veniva attaccato quando prescriveva la riduzione delle spese pubbliche e liberalizzazioni ai paesi sudamericani che dipendevano dai suoi finanziamenti per evitare la bancarotta. Ma il nostro governo non deve rispondere anzitutto al parlamento e i deputati non sono eletti dal popolo? In teoria è così, ma nell'attuale mondo globale se qualche paese è incapace di rispettare le regole o gli standard concordati anche solo a livello di soft law è giocoforza che intervenga chi ha i cordoni della borsa. Meglio nel nostro caso che sia la Bce, ma non attendiamoci sconti solo perché si tratta di una istituzione europea di cui facciamo parte anche noi.