Quando investe lo straniero
I fondi sovrani sono una realtà relativamente recente nel panorama dell'economia mondiale. Questi nuovi attori nel flusso transnazionale degli investimenti raggruppano realtà finanziarie diversificate per origine, veste istituzionale, dotazione, politiche di investimento. A livello globale si calcola che dispongano dello stratosferico importo di 2.400 miliardi di dollari. Denominatore comune è che si tratta di entità che fanno capo alla mano pubblica, controllati e gestiti da governi o enti pubblici e che i loro capitali sono di proprietà pubblica. Le fonti di queste ricchezze sono diverse. Inizialmente era quasi solo il ricavato accantonato dalla vendita delle materie prime spettanti allo stato sui mercati internazionali, soprattutto petrolio e gas. È il caso del fondo della Norvegia (il più grande), della Libia, dei paesi del Golfo persico.
In questi casi l'investimento delle risorse accumulate nell'economia privata all'estero è motivata dall'esigenza di diversificarle e preservare un "tesoretto" per quando le risorse naturali si saranno esaurite. Quest'ottica suggerisce una politica d'investimento prudente, con gestione trasparente, ispirata da considerazioni tipiche di un investitore privato, alieno dall'assumere posizioni dominanti nelle imprese in cui le partecipazioni vengono acquisite. Un'ottica privatistica e non motivata da intendimenti politici quindi, anche se gli importi in gioco e il peso delle quote di capitale sottoscritte rendono a volte difficile misurare in termini privatistici i relativi investimenti. Il caso degli investimenti libici in Unicredit ne è testimonianza.Il quadro si è modificato con l'ingresso nel club della Cina e di altri paesi che accumulano risorse dallo sbilancio tra export e import e che non sono in grado, per ora, di assorbire il surplus con l'espansione della domanda interna, con investimenti infrastrutturali o accrescendo le importazioni. Qui l'investimento nell'economia reale non è solo un'alternativa all'accumulo di treasury bills americani. Alle preoccupazioni sull'impatto degli investimenti nelle imprese si sono aggiunte preoccupazioni sulle motivazioni degli investimenti; non più tanto la sicurezza dei capitali investiti ma una strategia del paese per acquisire il controllo di materie prime necessarie all'economia nazionale (es. minerali e legname in Africa) e l'accesso a tecnologie avanzate. Quando l'investimento si rivolge a settori strategici nel paese destinatario, dai porti Usa in cui la Port Authority di Dubai voleva entrare, ai paventati investimenti cinesi nel settore energetico della Germania, non stupiscono reazioni di bloccaggio (Usa) o la proposta di controlli preventivi (Germania). Simili iniziative richiamano però reazioni non amichevoli da parte dei padroni dei fondi, mentre una disciplina internazionale stenta a decollare per il contrasto di interessi tra paesi e l'eterogeneità degli attori. Molto trasparente il fondo norvegese, che non investe in imprese di armamenti o che non rispondono a determinati criteri etici. Del tutto opache le strategie generali e la gestione dei singoli investimenti da parte di gran parte degli altri fondi, che appartengono a paesi non democratici. L'unica disciplina internazionale, peraltro non vincolante, sono i Principi di Santiago promossi dal Fondo monetario nel 2008, che richiedono trasparenza delle politiche di investimento e che esse siano basate su logiche privatistiche e di mercato. Più facile a dirsi che a farsi e, soprattutto, difficile da controllare e sanzionare. Nell'attuale contesto economico, in cui capitali freschi sono necessari a molte grandi imprese per resistere alla crisi, si sviluppa un'obbiettiva concorrenza per catturare queste nuove risorse. I governi dei paesi sviluppati che si preoccupano dell'indipendenza della loro economia si trovano quindi a fronteggiare una concorrenza al ribasso sul piano della regolamentazione. Non possono però ignorare le richieste dei loro settori industriali e finanziari a favorirne l'afflusso. Un nodo che non troverà facile soluzione, neppure a livello europeo.