Quando il brevetto serve a farsi prestare denaro
Nel corso degli ultimi cinque anni, lo stato e il sistema bancario italiano hanno intensificato la loro collaborazione al fine di supportare i progetti di innovazione industriale. L'iniziativa più recente è rappresentata dall'istituzione del Fondo nazionale per l'innovazione, regolato dal decreto 10 marzo 2009 del ministero dello sviluppo economico (Mse). Il Fondo garantisce la partecipazione di risorse pubbliche a operazioni finanziarie proposte e gestite da intermediari, rivolte al sostegno delle pmi nello sviluppo di progetti innovativi.
La selezione dei progetti finanziabili deve essere effettuata dagli intermediari finanziari sulla base di una griglia di valutazione, elaborata a tale scopo da uno specifico gruppo di lavoro.La piattaforma di analisi intende supportare l'analista nella formazione di un quadro di valutazione, nel quale il brevetto è collocato in una prospettiva di interazione con l'organizzazione generale e produttiva dell'azienda e con il mercato di riferimento.Tra le potenziali applicazioni della griglia, il gruppo di lavoro ha individuato quella di valutare il brevetto come collaterale di un finanziamento e quella di aggiungere informazioni preziose al giudizio sul merito creditizio dell'azienda proprietaria.Sul primo aspetto, occorre rilevare che gli scoring criteria vertono su caratteristiche qualitative, o su aspetti su cui è richiesta la formulazione di un giudizio qualitativo, ancorché traducibile in uno score. Tale caratteristica ostacola la determinazione della capienza cauzionale del brevetto e del tasso di recupero. Relativamente alla valutazione del merito creditizio dell'azienda, l'approccio valutativo della griglia contrasta con la prassi in essere presso le banche italiane: la quasi totalità delle banche medie e grandi e la maggior parte di quelle più piccole (anche Bcc) adottano tecniche di tipo statistico-quantitativo. Con riferimento al finanziamento delle pmi, tali modelli sono alimentati principalmente da dati di bilancio e da informazioni provenienti dalla centrale dei rischi; solo nelle relazioni con le grandi imprese risultano significative anche le informazioni qualitative, codificate in un questionario. Peraltro, occorre che le banche mutino il proprio approccio di analisi del bilancio dell'azienda, laddove essa investa in innovazione. La metodologia più accreditata presso gli intermediari creditizi italiani è quella elaborata dalla Centrale dei Bilanci (Ce.Bi.). Gli indicatori Ce.Bi. relativi alla struttura finanziaria delle aziende, rispecchiano una logica nella quale il patrimonio netto assume il ruolo di capitale di garanzia nei confronti dei creditori: pertanto, si tiene conto del cosiddetto patrimonio netto tangibile, ottenuto decurtando il capitale netto di fine esercizio dell'ammontare di poste considerate prive di valore cauzionale: le azioni proprie, i crediti verso soci per versamenti ancora dovuti, le distribuzioni di dividendi deliberate e la totalità delle immobilizzazioni immateriali. A ben vedere, l'approccio adottato da Ce.Bi. è estremamente restrittivo. L'utilizzo acritico di tale approccio per valutare la solidità patrimoniale finisce per penalizzare le aziende che hanno investito per creare propri segni distintivi (marchi) e per tutelare processi e prodotti innovativi. Pertanto, è necessario analizzare in dettaglio la composizione delle attività immateriali, identificando gli investimenti che possiedono un'autonomia tecnica, economica e giuridica, che ne consente la separabilità dal complesso degli altri beni patrimoniali, presupposto per la loro negoziabilità in caso di insolvenza.