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Prima il campo base, poi la vetta, infine il tribunale

, di Giorgio Sacerdoti
Grandi scalate e anche grandi processi: la storia vista dalla montagna

Due miti su montagne e alpinismo si mantengono inossidabili da quando un manipolo di inglesi a metà Ottocento scoprì le Alpi come palestra di ardimento in alternativa alle avventure coloniali. Il primo riecheggia quello del Superuomo di Nietzsche. Che il conquistare alte vette inesplorate sia proprio di esseri superiori dotati di singolare coraggio che così mostrano le loro straordinarie virtù. L'altro, che la Montagna sia una divinità ostile che spesso si vendica di chi la sfida.

Ma c'è un altro aspetto nella corsa alla conquista delle vette e ora a vie nuove e più impervie, a salite sempre più veloci. È quello della competizione per il record, una sfida tra grandi alpinisti ma spesso anche tra le nazioni che sovvenzionano e soprattutto nel passato organizzavano ufficialmente le spedizioni per conquistare le vette extra europee. È così che certe storie dell'alpinismo si possono leggere come un capitolo della storia mondiale, dell'espansione dell'Occidente. Il libro dell'alpinista Augusto Golin (La Legge della Montagna. I piu' celebri casi giudiziari che hanno segnato la storia dell'alpinismo, Corbaccio 2011) ci porta in una dimensione ancora diversa ma che riflette tutti gli elementi alla radice della corsa per primeggiare sulle vette: quella delle vertenze giudiziarie che hanno caratterizzato parecchie delle conquiste delle vette più celebri, a cominciare dalla prima salita del Monte Bianco nel 1786. Perché nel monumento eretto a Chamonix nel primo centenario della scalata figura l'ispiratore della impresa, lo scienziato Horace Bénédict de Saussure (che salì il Bianco l'anno dopo) con uno solo dei due scalatori, Jacques Balmat? Chi e perché volle diminuire la figura dell'altro alpinista, Paccard, cui fu eretto un monumento riparatore a Chamonix solo cento anni dopo? E venendo alla vicenda della vittoria al Cervino di Edward Whymper nel 1865, la tragedia che nella discesa portò alla morte di quattro dei sette scalatori sfociò addirittura in una inchiesta penale a Zermatt. Vari processi hanno caratterizzato vicende che ci toccano da vicino: quella della spedizione italiana al K2, capitanata da Ardito Desio nel 1954, e la salita dei fratelli Messner al Nanga Parbat nel 1970. Vicende che si leggono quasi come un romanzo poliziesco o un resoconto giudiziario, con le contrastanti versioni delle salite, i tentativi di accaparrarsi meriti esclusivi a discapito dei compagni, le liti per i diritti cinematografici e sullo sfondo la perdita di vite umane nella furia degli elementi. Non mancano i processi per diffamazione, di fronte ad accuse di avere preferito la vetta alla salvezza del compagno. Solo nel 2008, a oltre 50 anni dalla vittoria sul K2, si ristabilì la verità sulla salita e si riconobbe il contributo essenziale di Walter Bonatti al raggiungimento della vetta da parte della coppia Compagnoni-Lacedelli.Anche in cima alle vette, ove l'aria è sottile, gli uomini salgono con le loro debolezze oltre che grazie al loro coraggio, e le aule dei tribunali sono una misera sede per cercare di dipanare la verità che per piccineria essi a volte nascondono.