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Prezzi alti? L'etanolo non c'entra

, di Marzio Galeotti - professore ordinario all'Universita' di Milano, e' ricercatore presso lo Iefe Bocconi
Uno studio dimostra che non ci sono evidenze a favore del Fuel versus Food debate: il costo del mais non è aumentato a causa della politica Usa a favore del carburante

Secondo la Bbc del 27 marzo 2007, Fidel Castro dichiarò che la politica di George Bush di supporto all'uso del mais nella produzione di carburanti per autotrazione avrebbe causato tre miliardi di morti per fame nel mondo.

Marzio Galeotti

Per quanto esagerata, quell'affermazione rifletteva la preoccupazione per una significativa tendenza registrata negli ultimi anni dei prezzi di molti prodotti agricoli ad aumentare e a diventare più volatili. La stampa, le organizzazioni non-governative, perfino autorevoli istituzioni come Fao, Ocse e Banca mondiale hanno suonato l'allarme quando, a partire dal 2007, il prezzo del mais (ma anche della soia, del grano e del bestiame, che è nutrito soprattutto con mais) ha subito incrementi senza precedenti, in coincidenza con l'esplosione della produzione di etanolo realizzata, negli Stati Uniti, proprio con il mais.

Questo allarme si è condensato in un'efficace locuzione, Fuel versus Food, riflettendo la preoccupazione secondo cui più carburante verde significa sottrarre terra alla coltivazione di mais per alimentazione, con il risultato di finire per affamare intere popolazioni nel mondo. Responsabile di tutto ciò sarebbe la politica statunitense che, per ridurre la dipendenza energetica dal petrolio importato, ha fornito agli agricoltori fortissimi incentivi alla produzione di etanolo, un biocarburante che va miscelato con la tradizionale benzina in proporzioni che la legislazione ha reso obbligatorie e crescenti. Questi incentivi hanno indotto una crescente domanda di mais per etanolo, con il risultato o il rischio presunto di spiazzare la produzione di mais per usi alimentari (ma anche industriali: il mais ha numerosissimi impieghi). Ciò che si è osservato è una correlazione stretta e positiva dal 2007 tra prezzo dell'etanolo e prezzo del mais (e di altri prodotti agricoli). La preoccupazione per le popolazioni del mondo è giustificata dal fatto che oggi il 40% del mais coltivato negli Usa viene convertito in etanolo (12% nel 2004-2005), quando quel mais americano rappresenta circa i 2/5 della produzione mondiale e il 60% delle esportazioni mondiali.

La questione ha attratto l'interesse degli economisti, alcuni dei quali si sono chiesti se la correlazione tra prezzo dell'etanolo e prezzo del mais implica anche una relazione di causalità, e soprattutto si sono chiesti qual è la direzione di tale nesso. Facendo uso di tecniche econometriche avanzate, nel paper Biofuels and Food Prices: Searching for the Causal Link (Iefe, working paper n.55, febbraio 2013) Andrea Bastianin (Università di Milano-Bicocca e Feem), Marzio Galeotti (Università di Milano e Iefe Bocconi) e Matteo Manera (Università di Milano-Bicocca e Feem) hanno studiato la stazionarietà, la stabilità e la causalità tra le serie dei prezzi di etanolo, mais, grano, soia e bestiame, guardando sia al lungo periodo che al breve periodo. In questo secondo ambito gli autori hanno analizzato la causalità (in econometria, causalità di Granger) sia all'interno del campione (i dati riguardano i prezzi del Nebraska, uno dei maggiori stati produttori di etanolo, per il periodo gennaio 1987-marzo 2012) che al di fuori del campione studiando le capacità predittive di un prezzo relativamente agli altri.

I risultati dell'analisi empirica sono articolati ma nel complesso rivelano che la politica Usa di incentivazione della produzione di etanolo non sembra essere responsabile, o almeno la principale responsabile, della crescita dei prezzi agricoli. È viceversa plausibile che la crescita dei prezzi del mais e di altre derrate, dovuta a fattori quali le condizioni meteorologiche, abbia comportato un incremento nel prezzo dell'etanolo di cui il mais è fondamentale input produttivo.

Sulla base di un'indagine formale rigorosa ed esaustiva, gli autori concludono che non vi è evidenza a supporto del Food versus Fuel debate.