Prendi in mano la data driven economy. Il futuro non si puo' fermare
Prima della fine di quest'anno avverrà (e secondo alcuni è già avvenuto) il sorpasso del numero di cellulari sul numero di abitanti del pianeta. Nei primi mesi del 2015, intanto, l'umanità ha messo in rete più gigabytes di quanti non ne abbia generati in tutta la sua storia. Siamo entrati nell'era dell'economia basata sui dati. La globalizzazione e l'informatizzazione delle nostre attività mettono a disposizione dei cittadini, delle imprese e degli scienziati una quantità di dati impensabile fino a poco tempo fa.
Le possibilità che questa rivoluzione apre sono moltissime e probabilmente imprevedibili: siamo solo all'inizio. L'Internet of things sta cambiando il modo di procedere nell'industria. I sensori posizionati su macchinari e collegati alla rete sono in grado di trasmettere dati che possono essere utilizzati per adottare politiche di manutenzione preventiva o per gestire in real time la rete logistica. Ci possiamo quindi chiedere quale mondo sarà quello dell'economia basata sui dati e, giocando il ruolo dell'avvocato del diavolo, chi dovrà temerli.
Partiamo dai managers. Già nel 1970 in un interessantissimo articolo sul rapporto tra managers e data J.C. Little (ora Emeritus professor al Mit) rifletteva sull'intricato rapporto tra managers e numeri. Sono evidenti ai più i vantaggi dei big data o, più in generale, dell'utilizzo efficace delle informazioni numeriche a nostra disposizione. Utilizzare numeri, dati e modelli, anche nell'era moderna, non è però semplice e possiamo aspettarci un prolungamento, magari rivisto e corretto, del rapporto contrastato managers-dati (big o non big). Oggi, con la rivoluzione dei big data i numeri giocano un ruolo sempre più importante. Ma, come sappiamo, i numeri da soli non possono dirci nulla. Un manager deve saper guardare criticamente ai numeri e avere una comprensione degli algoritmi che generano le risposte alle sue domande. Come ha detto Tim Cook, Ceo di Apple, in Bocconi nel suo intervento all'inaugurazione dell'anno accademico, il manager deve mantenere la sua intuizione e contrastarla criticamente con i numeri. Emerge quindi forte l'esigenza di figure professionali nuove, che siano di raccordo tra i dati e i decisori. Un esempio su tutti è la nomina di D.J. Patil a (primo) chief data officer della Casa Bianca, nel febbraio del 2015.
Per le imprese, quindi, i big data possono essere il nuovo petrolio. Molti recenti articoli sottolineano le potenzialità dei big data e come tali potenzialità possano servire ad aumentare l'efficienza di processo, ad allargare la customer base o a servire meglio la clientela attuale. Se ci si sposta verso un utilizzo dei dati in real time, poi, occorre essere pronti alle sfide anche dal lato delle tecnologie informatiche. E in molti settori lo sviluppo è velocissimo, con una miriade di nuovi software e pacchetti applicativi anche per dispositivi mobili che stanno rivoluzionando il modo di visualizzare e rapportarsi con i dati. Da temere però è la sovrastima delle potenzialità dei dati, i quali da soli, non parlano (e qui torniamo al problema delle competenze).
Dai manager ai ricercatori. Per gli scienziati i big data sono un'enorme fonte di innovazione. Richiedono però processi nuovi, algoritmi nuovi e nuove lenti di lettura dei fenomeni. Per le università e gli educatori in genere, i big data creano già oggi il bisogno di formare giovani professionisti che sappiano affrontare la data driven economy, per dare loro l'opportunità di essere protagonisti del futuro e soddisfare la domanda del mondo del lavoro. Occorrono programmi che uniscano le conoscenze manageriali ed economiche (che rimangono centrali e fondamentali) con competenze approfondite dei metodi quantitativi e delle scienze informatiche.
Come cittadini, possiamo riferirci ancora al passaggio dell'intervento di Tim Cook, in cui ha dichiarato che una delle preoccupazioni etiche maggiori di Apple è quella della privacy. Consideriamo la Health app di Apple. Dal punto di vista individuale, la app ci può aiutare ad avere abitudini di vita migliori. Se poi i dati vengono usati collettivamente, può servire da laboratorio universale, permettendo di collegare i parametri di milioni di persone, portando a una rivoluzione nelle scienze della salute. Il fuoco amico, però, è rappresentato dal rischio di essere schedati e magari dover pagare polizze di assicurazione più alte perché la app registra che il tempo dedicato all'esercizio fisico è troppo scarso. Queste osservazioni ci portano all'ambito giuridico, dove gli esperti lavorano alle nuove sfide e affrontano i nuovi problemi etici che la digitalizzazione della società comporta.
In conclusione, ai big data si applicano le osservazioni che valgono per ogni nuova tecnologia. Deve temere i big data chi, non adattandosi al loro utilizzo, rischia di perdere opportunità e, dall'altra parte, chi, utilizzandoli senza aumentare le proprie competenze, rischia di non sfruttarli appieno o, addirittura, di ottenerne informazioni distorte.