In politica come Google
Da più parti si invoca la necessità di iniettare meccanismi di concorrenza nelle amministrazioni pubbliche per rendere la politica più vicina a un mercato delle idee e dei servizi. A tutt'oggi manca però una formulazione teorica di tale mercato, non abbiamo cioè un criterio con cui analizzare se e in che misura un'istituzione sia o meno efficiente. Esempio noto di tale impasse è il dibattito sull'abolizione delle province, intese da una parte come fardello burocratico, dall'altra come utile strumento d'intermediazione di servizi.
Proviamo allora a immaginare la politica e le sue istituzioni come piattaforme per gli interessi collettivi, e analizzarne l'efficienza secondo la logica concorrenziale che regola i mercati delle piattaforme.Ruolo primario delle piattaforme è fornire un'interfaccia che faciliti l'incontro tra gruppi di utenti: nel caso di Google, ad esempio, da una parte internauti alla ricerca d'informazioni, dall'altra, imprese o singoli utenti che offrono informazione/pubblicità. In questi mercati esistono cosiddetti effetti di rete indiretti, per cui il valore della piattaforma per un utente cresce in funzione della varietà, disponibilità e qualità dell'offerta. Allo stesso tempo, i provider di contenuti/applicazioni hanno interesse a vendere attraverso la piattaforma che ha un'ampia base di utenti. In breve, intermediando più gruppi di utenti dal lato dell'offerta e della domanda, la piattaforma crea e regola un mercato. Date queste dinamiche, le piattaforme vincenti sono quelle con un'offerta più ampia e di qualità tale da poter intercettare le diverse preferenze del maggior numero di utenti. Vi è perciò una forte competizione tra piattaforme rivali per accaparrarsi i migliori fornitori di contenuti e sviluppatori di applicazioni più bravi.Potrebbe un sistema politico organizzato in piattaforme aumentare la propria effettività ed efficienza? Forse sì. Intanto, la logica delle piattaforme è già presente: nel sistema di selezione dei candidati alla presidenza degli Usa ogni piattaforma (partito) compete sul mercato delle idee e seleziona al suo interno i candidati sulla base del riscontro che le loro proposte e programmi trovano. Altro esempio è il sistema di decentralizzazione spagnola, dove le 'comunidad' promuovono enti specializzati per raccogliere e rispondere agli interessi della comunità locale. Non è un caso che proprio la Spagna sia riuscita meglio di ogni altro paese europeo a canalizzare i fondi europei per lo sviluppo. Perché l'Italia non è stata altrettanto capace? Nella logica delle piattaforme, una delle spiegazioni risiede nella frammentazione e scarsa rappresentazione delle istituzioni locali che, al contrario della Spagna, sono limitate nella loro capacità mediatrice degli interessi diffusi. Mentre in Spagna la dimensione di questi enti 'hub' permette la creazione di un mercato tra cittadini, imprenditori e politici, in Italia questo mercato stenta a formarsi o ha dimensioni ridotte, circoscritte alle aree comunali. Nemmeno le province sembrano rispondere a questa necessità di intermediazione. Rivisto nell'ottica delle piattaforme, il dibattito non dovrebbe centrarsi tanto sull'abolizione delle province, quanto su come riformare tutti gli enti istituzionali in modo da creare piattaforme che possano aggregare e filtrare gli interessi della comunità, secondo le logiche di domanda-offerta e intermediazione caratteristiche delle piattaforme. Invece di meno province, avremmo bisogno di province in concorrenza tra loro e di comuni più grandi, disegnati in modo da accrescere la concorrenza nella selezione dei rappresentanti politici e la capacità di promozione di progetti di più ampio raggio, con la partecipazione di cittadini e imprenditori. In sostanza, serve ripensare le istituzioni come mercato dei servizi e i partiti come mercato delle idee e dei dirigenti. Una riforma della filosofia e del modo di fare politica, allineata con i tempi in cui viviamo, sempre più dominati da piattaforme.