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Pmi, le regole valgono più dei nuovi strumenti

, di Stefano Caselli - Algebris Chair in Longterm Investment and Absolute Return
Negli Usa, dal 1958 esistono le Small business investment companies, a capitale misto pubblico e privato, con detassazione dei profitti reinvestiti

Il tema degli strumenti finanziari e delle condizioni di contesto finanziarie che possono sostenere le piccole e medie imprese torna oggi con prepotenza alla ribalta per effetto di stimoli differenti, dal progetto del Mercato alternativo dei capitali (Mac), alla diffusione crescente del private equity. Nella sua ultima relazione, lo stesso governatore della Banca d'Italia ha posto l'accento sull'esigenza di crescita delle imprese, sul ruolo del sistema finanziario e sulla forza del private equity come motore di sviluppo.

La domanda ricorrente è sempre la medesima: è necessario creare strumenti finanziari dedicati per le pmi? E quale ruolo possono concretamente giocare a sostegno della crescita e della competitività delle imprese più piccole? Su questo aspetto, gli errori del passato e gli esempi virtuosi di altri paesi ci chiariscono che non sono né gli strumenti né le soluzioni dedicate (e macchinose) a rendere più robuste le pmi, ma piuttosto le condizioni di contesto che agevolano la crescita e la naturalezza delle politiche finanziarie a giocare un ruolo determinante.

La traiettoria seguita dai paesi anglosassoni rappresenta un ottimo esempio di un corretto e virtuoso utilizzo di scelte pubbliche in un contesto privato a sostegno delle pmi.

Nel caso degli Stati Uniti, la storia dell'intervento pubblico è qualificata da tre passaggi fondamentali. Il primo (nel 1958) è la creazione di soggetti dedicati allo sviluppo dell'investimento in capitale di rischio nelle Pmi (le Small business investment companies) e caratterizzati dalla presenza paritaria di soggetti pubblici e privati come azionisti. Il successo delle Sbic è stato determinato dalla presenza dell'attore pubblico nel capitale, con la funzione di attutire le perdite legate ai forti rischi assunti, e da una completa detassazione dei profitti conseguiti purché reinvestiti nelle pmi stesse. Ancora ad oggi, le Sbic rappresentano il 23% del mercato del private equity e venture capital negli Stati Uniti e costituiscono un volano essenziale di nascita e primo sviluppo delle aziende.

Il secondo passaggio (nel 1978) è la rimozione dei vincoli per gli investitori istituzionali, quali fondi pensione e compagnie di assicurazione, a investire le risorse nei confronti di pmi. Tale scelta ha prodotto una forte confluenza di risorse nei confronti delle aziende più piccole, supportandone la crescita e la creazione di valore.

Il terzo (a partire dal 1979 e via via affinato fino ad oggi), è la costante e consistente agevolazione fiscale rivolta alle aziende più piccole che si capitalizzano e agli investitori che destinano le risorse e i profitti di queste al mondo delle pmi.

Del tutto analoga è la storia del Regno Unito, che, a differenza degli Stati Uniti, è caratterizzato anche da una forte sensibilità al tema dei circuiti di borsa dedicati alle Pmi (l'Alternative investment market ne è l'esempio di riferimento) e degli intermediari finanziari dedicati, quali i Venture Capital Trus su tutti.

Un utilizzo pragmatico dell'intervento pubblico a sostegno del private equity, una campagna di incentivi fiscali rilevanti e non occasionali per investitori e per aziende nonché lo stimolo diretto ai circuiti di borsa sembrano dunque essere la combinazione che qualifica con efficacia il contributo del sistema finanziario a sostegno delle pmi.

Su questi temi, anche il nostro paese è chiamato a dare una risposta che si inserisca in un quadro organico, duraturo e completo. Ad oggi, non esiste né una politica di incentivo fiscale alla raccolta del capitale di rischio per le pmi o a sostegno dell'investitore, né un sostegno agli operatori che svolgono attività di private equity e venture capital su scala medio-piccola. La sensazione è che il dibattito si concentri su aspetti di retroguardia quali le Sgr a capitale ridotto o i consorzi fidi, mentre l'energia e gli sforzi dovrebbero essere convogliati su dimensioni più vaste e strutturali.

Vale ancora ricordare il messaggio del governatore della Banca d'Italia, che segnala con chiarezza come il tema della crescita e dello sviluppo sia legato non tanto al ruolo delle banche, a cui spesso si attribuiscono compiti più ampi rispetto alla loro missione, ma ad un contesto di regole più nitide e alle sfide lanciate dalle imprese.