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Piccole imprese grandi oltre confine

, di Marina Puricelli - docente di piccole e medie imprese all?universita' Bocconi e alla SDA
Resistere su mercati difficili e anzi continuare a crescere è possibile internazionalizzandosi. Ma solo se si è forti

L'apertura verso i mercati esteri in un periodo in cui la domanda interna è scesa, se non crollata, è diventata un imperativo per moltissime piccole aziende italiane. Alcune lo hanno capito in anticipo. Sono quelle che oggi, nonostante tutto, riescono a distinguersi con performance economiche sopra la media. Chi sono e come hanno fatto a riuscirci nonostante le ridotte dimensioni di partenza?

Marina Puricelli

Una prima considerazione che l'osservazione di molti casi eccellenti consente di fare riguarda proprio la relazione tra internazionalizzazione e performance. Sembra di poter affermare che se una piccola impresa è forte in Italia ha maggiori chance di aprirsi verso i mercati esteri. Le aziende internazionalizzate mostrano risultati migliori di chi si è limitato al mercato domestico e dunque appaiono più solide, più competitive ma, nella maggioranza dei casi, lo erano già prima di avviare la loro espansione all'estero, processo che è stato possibile proprio grazie alle risorse accumulate in precedenza. Essere forti porta con più facilità all'internazionalizzazione e non viceversa, a causa degli investimenti necessari per farsi conoscere all'estero. Se si condivide questo passaggio conviene dunque puntare, prima di tutto, a un rafforzamento sia strategico che organizzativo interno all'impresa. Interventi solo sul fronte esterno, per esempio le missioni all'estero magari attraverso sussidi di istituzioni pubbliche, in assenza di una certa solidità interna sono destinate a non portare ricadute di lungo periodo. Questa forza, alla base del processo di internazionalizzazione, non sembra correlata al tipo di settore scelto per competere. Si trovano imprese con ottimi risultati sui mercati internazionali, pressoché in ogni comparto, da quelli considerati maturi a quelli più evoluti. La spinta verso l'estero pare essere data dalla capacità di fare innovazione e qualità, piuttosto che costo, per intercettare più facilmente quello che il mondo si aspetta dal made in Italy.

La seconda questione è quella riguardante le modalità più efficaci per muoversi oltre confine. Il motto, per molti piccoli imprenditori, è ancora quello del "prendere la valigia e provare a seminare", con spirito di sacrificio senza preclusioni relative al paese. Occorre essere persone disposte a lavorare di più e spesso in contesti meno agiati e agevoli del nostro. Bisogna avere l'energia per affrontare i problemi che inevitabilmente si pongono, meglio se coadiuvati da qualche collaboratore. La formazione dall'interno o l'inserimento di figure di export-manager diventa un passaggio necessario per le imprese che, superata la prima fase pionieristica, vogliono crescere all'estero.

Una buona alternativa per imprese realmente piccole (sotto i 50 dipendenti) sul fronte del reperimento delle competenze è data oggi anche dalla possibilità di appoggiarsi a società di consulenza specializzate su questo target dimensionale, in grado di offrire strumenti di geomarketing per individuare potenziali clienti e personale dedicato, con contratti temporanei e part-time, allo sviluppo dei mercati esteri. Un'ulteriore alternativa, che sta emergendo non senza qualche difficoltà, attiene alla costituzione di aggregazioni, di recente soprattutto nella forma del contratto di rete. Tali accordi consentono, con più facilità ad aziende non direttamente concorrenti, di realizzare tutte quelle attività di sostegno alle esportazioni (per esempio le fiere internazionali, le ricerche di mercato o i portali di e-commerce) che risultano essere fuori dalla portata delle singole imprese date le loro ridotte dimensioni.