Perche' non si devono respingere i migranti
I rifugiati dall'Africa e dal Medio Oriente non fuggono dalla fame e dalla povertà, ma dalle guerre e dalle persecuzioni. I risvolti umanitari sono palesi, e la loro accoglienza, in Europa come altrove, è regolata dalla convenzione di Ginevra del 1951.
Anche se la motivazione che spinge i rifugiati a lasciare il loro paese di origine non è economica, la scelta del paese di destinazione, ovvero quello al quale chiedere asilo, lo diventa, almeno in parte.
Per ricostruire la propria esistenza è importante avere un network di accoglienza, costituito spesso da persone del proprio paese già presenti nel paese, ma soprattutto di opportunità economiche per ricominciare. I dati delle Nazioni Unite sui rifugiati siriani ci mostrano che la loro scelta ricade soprattutto su Germania (quasi 100mila dei 350mila che hanno chiesto asilo in Europa tra aprile 2011 e luglio 2015), Svezia e in generale sui paesi del nord e dell'est Europa. Le richieste verso i paesi di prima entrata in Europa sono invece limitate: poco più di 2mila in Italia, 3.500 in Grecia, 5.500 in Spagna. Evidentemente i rifugiati siriani non ripongono grande fiducia nelle potenzialità del mercato del lavoro dei paesi dell'Europa meridionale.
Anche il dibattito sull'accoglienza dei rifugiati è intriso di motivazioni economiche. Oltre ai timori sulla sicurezza, legati alla paura che tra i rifugiati si nascondano terroristi, c'è l'inquietudine economica. Due i principali argomenti: i rifugiati posso rivelarsi concorrenti dei lavoratori nazionali sul mercato del lavoro domestico, ma anche fruitori del sistema di welfare, a scapito dei cittadini del paesi di accoglienza. Quest'ultimo aspetto è emerso in maniera prepotente con la pubblicità che il governo danese ha fatto a settembre su quattro giornali libanesi, per rendere noto che gli aiuti ai rifugiati sarebbero stati ridotti del 50%.
Non manca tuttavia una lettura più positiva sugli effetti economici dell'arrivo dei rifugiati e più in generale dei migranti. Il punto di partenza in questo caso è la considerazione che i paesi europei hanno da decenni tassi di natalità bassi (nell'Europa mediterranea attorno a 1,5 figli per donna), che si accompagnano a un aumento della longevità. La nota conseguenza è il progressivo, ma significativo invecchiamento della popolazione.
Nei prossimi decenni, le coorti più giovani della popolazione (le più attive sul mercato del lavoro, che pagano i contributi per finanziare i sistemi di welfare) avranno dimensioni molto ridotte rispetto al passato.
In questa ottica, il flusso di rifugiati e migranti, tipicamente giovani, può contribuire a bilanciare, come già accaduto in questi anni, le nostre dinamiche demografiche. Questo aspetto sarà rilevante sul mercato del lavoro, dove già oggi i migranti svolgono lavori poco ambiti o abbandonati dagli italiani.
Per i sistemi di welfare, l'arrivo di migranti e rifugiati che entrino regolarmente nel mercato del lavoro e contribuiscano al finanziamento del sistema può rappresentare un'importante fonte di liquidità.
Tuttavia ai contributi versati corrispondono (come è giusto che sia) delle prestazioni di welfare correnti e future. Nel caso della previdenza, ai contributi pagati farà fronte una pensione futura.
Dunque i versamenti ottenuti oggi dai migranti aumentano la liquidità del sistema e aiutano a pagare le pensioni correnti, ma accendono un debito implicito, sotto forma di pensione futura, che il sistema di welfare dovrà corrispondere. In realtà, in passato i migranti si sono rivelati finanziatori netti nei sistemi di welfare europei.
È il caso dei migranti che, dopo aver lavorato e contribuito ai sistemi previdenziali in Europa, hanno fatto ritorno nei loro paesi di origine. In mancanza di accordi internazionale tra i diversi enti previdenziali, molti di questi migranti non hanno ottenuto una pensione, malgrado i contributi versati. Si tratta evidentemente di situazioni che i paesi europei dovrebbero impegnarsi a sanare.