Perche' chiedersi di chi e' la colpa
In scenari come quello del disastro di Fukushima è ricorrente l'idea che lo ius terribile (il diritto penale con la sua minaccia di pene limitative della libertà personale) possa svolgere una funzione di deterrenza tale da assicurare (oltre alla reazione punitiva per il male procurato) anche e soprattutto che almeno tendenzialmente siffatti eventi vengano in futuro evitati. Al di là della componente emotiva che la comminatoria penale porta con sé, una riflessione più attenta autorizza qualche notazione diversa.
In primo luogo, soltanto a partire dagli anni '70 del secolo scorso il diritto penale nella sua pratica applicazione comincia a interessarsi (al di là di sporadiche evenienze: l'esplosione nella miniera di Ribolla, il disastro del Vajont) di eventi del genere: le norme incriminatrici del codice penale (modellate su una realtà sostanzialmente pre-industriale) erano e sono tuttora strutturalmente inadeguate rispetto alle situazioni che dovrebbero essere ricondotte sotto la loro disciplina, sicché la mutata realtà economica e sociale ha imposto e impone all'interprete operazioni ermeneutiche non sempre soddisfacenti. L'esigenza di fronteggiare rischi, che talvolta si trasformano in eventi dannosi di grande momento, derivanti dall'attività industriale mostra all'evidenza la inefficienza del sistema di tutela approntato sul versante penale. Non deve sfuggire che accede allo sviluppo dell'attività dell'industria un duplice profilo di pericolo (e di danno): da un lato si possono riconoscere eventi 'puntuali' di rilevantissime dimensioni (sempre stando al panorama italiano: si pensi al caso Icmesa); dall'altro, fatti dannosi connessi all'attività seriale. Si pensi ai fenomeni di inquinamento, derivanti da una pressoché infinita serie di singole condotte di sversamento di rifiuti, ciascuna delle quali, per sé considerata, non particolarmente grave, ma l'accumulo e la sommatoria delle quali determina effetti negativi di portata straordinariamente rilevante. La circostanza che il diritto penale sia tutt'oggi indissolubilmente legato alla necessità di un accertamento della responsabilità della singola persona fisica finisce con l'accrescere l'inadeguatezza cui s'è fatto riferimento.Nei casi nei quali l'evento dannoso puntuale assume dimensioni gigantesche, la ricerca del singolo responsabile sembra assumere piuttosto le spoglie della risposta a una domanda di punizione volta a esorcizzare la gravità del fatto ("è colpa di quei soggetti" e non del modo di atteggiarsi dell'impresa e dei fattori produttivi, sicché, "puniti costoro, eventi di quel genere non avverranno più"). Quando si verta in situazioni estese in un ambito temporale specialmente ampio, le difficoltà di individuare le specifiche responsabilità dei soggetti nel tempo succedutisi alla guida dell'impresa o dello stabilimento, finiscono spesso con il frustrare un accertamento in termini giuridicamente appaganti. Anche alla luce di considerazioni di questo genere un'attenta dottrina (Federico Stella) ha suggerito l'abbandono della risposta sanzionatoria affidata allo schema del diritto penale classico, proponendo risposte più coerentemente assegnate a paradigmi punitivi capaci di colpire direttamente l'ente la cui attività genera le situazioni di rischio ovvero determina gli eventi dannosi. Al di là della discussione circa l'opportunità di abbandonare del tutto il rimedio penale in senso classico, un dato tristemente illuminante consiste nella constatazione che fra i reati-presupposto ai quali consegue la responsabilità diretta dell'ente ex d. lgs 231/01 non è a tutt'oggi compresa nessuna delle fattispecie chiamate a presidiare gli eventi disastrosi dei quali si è fin qui detto.