Pensiero collettivo
Cosa distingue l'attività sindacale dal lobbismo? Forse è risolvendo questa ambiguità che sindacati e Confindustria potrebbero riconquistarsi il ruolo di corpi intermedi funzionali a uno sviluppo equilibrato del benessere sociale ed economico del paese. La sensazione che questo ruolo stia evaporando in favore di interessi egoistici delle nomenclature sindacali è diffusa nell'opinione pubblica. Il libro-denuncia del 2005 di Pietro Ichino A cosa serve il sindacato? è diventato un bestseller, inaugurando un filone dedicato a scovare le nuove caste di intoccabili che, in nome di una supposta rappresentanza di interessi generali, perseguono in realtà lo scopo di accumulare privilegi per sé e per i propri membri.
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Maurizio Del Conte |
L'accusa di coltivare con più determinazione gli interessi dei rappresentanti che dei rappresentati non ha risparmiato neppure Confindustria, come recentemente messo in luce dalla fuoriuscita di Fiat, che ne ha denunciato la scarsa sensibilità ai cambiamenti del mercato globale. Ma come è possibile che uno dei sistemi di relazioni industriali più sviluppati del mondo occidentale, che ha avuto un ruolo da protagonista nella realizzazione dello stato sociale disegnato dalla Costituzione, sia finito all'indice, al punto che lo stesso metodo della concertazione è stato apertamente criticato dal presidente del Consiglio che in esso ha individuato forme degenerative di consociativismo all'origine di molti mali del nostro paese? È evidente che sarebbe miope non riconoscere il valore del dialogo fra le parti sociali, particolarmente in questa fase di crisi economica. D'altra parte si deve ammettere che esiste un problema di rappresentatività sia dei sindacati che delle associazioni imprenditoriali.
Lo scollamento dei vertici associativi dalla base dei rappresentati si è prodotto anche in conseguenza della crescente diffusione di un approccio lobbistico ai problemi del lavoro e dell'impresa. I sindacati hanno sempre più privilegiato le relazioni di potere e con il potere, gli incontri riservati con i leader politici ed i big player della finanza, finendo così nella trappola del gioco delle lobby, dove i lobbisti di professione sono ben più influenti e finiscono col prevalere, trattando gigantesche partite economiche dalle quali i sindacati sono esclusi. I deludenti risultati di questo approccio non sono sfuggiti né ai lavoratori né alle imprese e la durezza della attuale crisi ha accentuato la sensazione di impotenza e marginalità delle parti sociali. Per uscire da questo vicolo cieco occorre che sindacati e associazioni imprenditoriali ritrovino l'orgoglio della propria storia e della funzione originaria, che non è fare lobbying, ma sedersi a un tavolo per definire un quadro di regole e obbiettivi che favoriscano la crescita e incrementino la quantità e la qualità del lavoro. La contrattazione collettiva deve tornare al centro del sistema, ma secondo una nuova architettura che sposti il baricentro verso la periferia. Occorre arginare l'ipertrofia regolativa della legge lasciando spazio a una contrattazione aziendale agile e premiante. È quanto è successo nei paesi europei che meglio stanno affrontando la crisi: non c'è ragione perché non possa succedere anche in Italia.