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Pensiamo collettivo o perderemo sempre la guerra

, di Leonardo Borlini - professore di International Law
Anti-corruzione. Difficile individuare e attuare meccanismi politici che superino l'interesse individuale

L'adozione di numerosi strumenti giuridici anti-corruzione da parte delle principali organizzazioni internazionali con competenza in materia (Banca Mondiale, Ue e Ocse, per citarne tre) si innesta su una solida comprensione economica del fenomeno. L'analisi economica, che può farsi risalire agli studi di Kruger e Bhagwati del 1974, è oggi molto articolata: non solo sono periodicamente stimate voci diverse di "costo" della corruzione con riferimento a singoli contesti statuali (ad esempio, inefficienze dei mercati reali e finanziari, riduzione del gettito fiscale, insufficienza dei beni pubblici, perdita di performance macroeconomica, erosione di fiducia nelle istituzioni, aumento della disuguaglianza sociale, riduzione di investimenti esteri), ma, utilizzando la formulazione di un'ardita nota proposta in un recente lavoro di tesi supervisionato, "è stata prodotta una valanga di carta" sulle cause, gli effetti e, soprattutto, i canali attraverso cui pratiche corruttive reiterate arrivano a minare le fondamenta dei moderni sistemi economici e sociali. Così, ad esempio, secondo la Banca Mondiale i paesi che tengono sotto controllo la corruzione possono aumentare il reddito procapite del 300% e, ciò che ci riguarda più direttamente, secondo una recente stima della Corte dei conti, la corruzione in Italia è costata 60 miliardi di euro nel 2010, con una crescita di circa il 30% di casi di corruzione rispetto all'anno precedente.

Sappiamo dunque quanto (ci) costa, quali sono gli oneri e, di riflesso, quanto ci conviene contrastarla. Inoltre, da più di un decennio sono stati conclusi trattati internazionali, cui l'Italia ha aderito, che obbligano all'adozione di efficaci strumenti giuridici di lotta al fenomeno e indicano i principali settori di intervento.Nonostante ciò, non diminuiscono i rilievi critici provenienti dalla comunità internazionale. Secondo la NGO Transparency International, l'Italia è scesa dal 29esimo posto nel 2001 al 67esimo posto nel 2010 in quanto a livello di corruzione percepita, dietro a Ghana, Samoa e Ruanda, tallonata da Georgia, Panama e Trinidad e Tobago. Secondo le istituzioni intergovernative il quadro non migliora, anzi. Gli ultimi rapporti dell'Ocse e del Consiglio d'Europa relativi all'attuazione dei rispettivi accordi internazionali da parte dell'Italia, evidenziano numerose e gravi criticità di sistema; la prossima pubblicazione del terzo rapporto Greco (Group of States against Corruption) del Consiglio d'Europa, che si attende per la fine del 2011, rileverà, pare, ulteriori deficienze. Lasciando da parte le esortazioni morali, sempre apprezzabili ma sostanzialmente inefficaci, mi sembra che la spiegazione dello iato tra analiticità dei dati disponibili circa i costi del fenomeno e degli impegni internazionali a contrastarlo, da un lato, e peggioramento dello stesso denunciato con costanza dalla comunità internazionale, dall'altro, si trovi ancora nell'estrema difficoltà a identificare e attuare meccanismi politici che obblighino a raggiungere l'interesse individuale solo dopo un percorso che assicuri l'ottimo collettivo. Questo nodo costituisce evidentemente una delle problematiche di fondo, non solo dell'azione anti-corruzione, ma di ogni politica nazionale e internazionale volta a limitare talune conseguenze dell'assunzione, secondo il modello economico classico, dell'individuo e del personale interesse come punto di riferimento principale dell'agire umano. In ambito di attività anti-corruzione, non sembra che il margine di azione delle organizzazioni internazionali sia ampio. A questo livello, politiche incisive nel senso appena indicato, sia pur perfettibili, sono state già attuate; il lavoro deve essere nel senso della mera continuità. Rimangano infine gli stati, enti collettivi per eccellenza.