P.a.: senza le regole non c’è misura di performance
La valutazione della performance è spesso presentata come il nuovo mostro sacro delle amministrazioni pubbliche. Le misure oggettivano il funzionamento di sistemi complessi, fornendo così strumenti per valutare ed essere valutati e offrendo anche un formidabile armamentario di governo delle aziende e dei sistemi sociali. Ma il performance management non è la panacea di tutti i mali e non coglierne i limiti rischia di ridurne le potenzialità.
Il limite principale è l'effetto sineddoche: si costruiscono misure che, inevitabilmente, colgono solo parzialmente il fenomeno e poi si assume che lo rappresentino in modo esaustivo. Ad esempio, si misura la qualità della didattica con un sistema di soddisfazione dei discenti e poi si assume che tale misura colga l'insieme di tutte le dimensioni importanti per valutarla (la coerenza con i fabbisogni formativi o la qualità del materiale didattico). Ma le misure sono rappresentazioni parziali dei fenomeni e come tali andrebbero considerate. Le distorsioni dei sistemi di misura si riflettono, quindi, nella rendicontazione sociale ed economica; politici, dirigenti, cittadini, utenti (e anche azionisti) vengono rassicurati da una batteria di indicatori di performance delle amministrazioni pubbliche (e spesso anche delle imprese), ma in realtà la rassicurazione poggia su una finzione: che effettivamente poche misure possano ragionevolmente sintetizzare il valore prodotto.Una delle risposte alla parzialità delle singole misure di performance può essere la loro moltiplicazione, che aumenta la capacità di rappresentazione del fenomeno. Questa strategia, seguita nelle esperienze più mature in Europa e Nord America, genera però complessità. Il volume d'informazioni ed elaborazioni necessarie per costruire sistemi articolati, con decine se non centinaia di indicatori, genera complessità organizzativa e gestionale. E richiede un lavoro d'interpretazione e valutazione soggettiva: la scelta di scale e pesi per giungere a misure di sintesi da utilizzare nelle attività di governo implica inevitabilmente scelte di merito, che spesso diventano oggetto di decisioni discrezionali. Il problema, si noti, non è l'esistenza di discrezionalità, ma il rischio dell'illusione di sistemi oggettivi e neutrali. La discrezionalità è una caratteristica inevitabile, ma comunque gestibile, dei sistemi di misurazione e valutazione della performance. E quindi che fare? Come impostare la costruzione di sistemi di misurazione della performance nelle amministrazioni pubbliche? La prima raccomandazione è affrontare seriamente i processi di cambiamento, che necessitano di ingenti risorse per essere disegnati, sperimentati e adottati. L'introduzione frettolosa e non preparata di nuovi e delicati sistemi di governo amplifica i rischi visti in precedenza e può produrre un effetto rigetto, con il conseguente rischio di un rifiuto generalizzato della misurazione nel settore pubblico. In secondo luogo è necessario realizzare significative politiche di informazione e formazione del personale delle p.a. e della popolazione in generale. Mettere al centro delle attività di governo, dal macro al micro, misure di varia natura implica un profondo cambiamento di paradigma culturale. Per sostenerlo è necessario agire sulle persone con interventi culturali profondi. Infine, ed è questa la raccomandazione più importante, lo sviluppo dei sistemi di misurazione della performance richiede interventi su altri fronti, in grado di controbilanciare gli effetti avversi e perversi della misurazione. Paradossalmente, un sistema che insiste molto sulle misure ha bisogno di più regole e più valori condivisi. Entrambi servono per creare un quadro più delineato e preciso entro il quale competere per ottenere i risultati. Come insegna anche lo sport, le competizioni richiedono regole puntuali di comportamento (ad esempio anti doping o sulle tecnologie utilizzabili) e valori condivisi di lealtà, rispetto e onestà.