Oldani: buoni leader per buone aziende
La cucina è vista come un ambiente molto gerarchico. Che cosa significa leadership per uno chef?
Sono convinto che non si possa fare a meno della gerarchia per creare un buon ristorante, una buona azienda, un buon paese. Senza regole e senza gerarchia, giocando a fare soltanto gli artisti, si finisce conciati male come l'Italia di oggi. Ma intendiamoci: regole e gerarchia non significano dittatura; devono essere accompagnate dal rispetto, dalla capacità di ascolto e soprattutto dalla volontà di spiegare agli altri. Solo così si crea una squadra importante.
Esiste una comunità professionale degli chef? Da quali regole è governata?
Non esiste una comunità istituzionalizzata, nulla di paragonabile a un ordine professionale, ma negli ultimi dieci anni la voglia di confrontarsi dei cuochi dell'ultima generazione e la volontà di creare regole che garantiscano la qualità hanno fatto sorgere una comunità spontanea. Tra di noi c'è una certa competizione, che non deve però sfociare nella rivalità. La competizione è uno sprone reciproco a migliorare, a creare un mercato pulito, a tirare fuori nuove idee senza paura.
Secondo molti l'alta ristorazione italiana si caratterizza per la scarsa industrializzazione, le piccole dimensioni dei singoli ristoranti rispetto a mercati come quello francese o statunitense. Lo vive come un limite?
Più che un limite, mi pare un retaggio storico. Per 70 anni l'ambiente non si è evoluto, ma con la nuova generazione di cuochi e operatori del settore, le cose stanno cambiando e sono convinto che ci si arriverà. Come dimostrano gli slogan tipo quello di EXPO Milano 2015, Feed the planet, l'obiettivo finale non può essere l'esclusività, ma un'alimentazione di qualità alla portata di tutti, e un cambiamento di questo genere avrebbe un impatto positivo anche sui piccoli operatori.
Televisione, editoria, mondo dello spettacolo. Perché la figura dello chef è in così evidente crescita?
Perché è cresciuta la domanda di informazione del pubblico e lo chef è il naturale protagonista di questo genere di comunicazione pop, che spesso passa anche attraverso i social network. Al centro di tutto rimane l'esperienza del cliente al ristorante, ma noi dobbiamo essere in grado di far capire quello che stiamo facendo e perché lo facciamo. L'interessamento della Bocconi, come quello di Harvard e della London Business School, dimostra che c'è un pubblico giovane, che vuole capire le cose fino in fondo.
Che cosa significa innovazione nel mondo dell'alta ristorazione?
L'innovazione, nel nostro campo, è limitata dal fatto che si preparano, e si continueranno sempre a preparare, carne, pesce, frutta e verdura. L'unico elemento naturale di cambiamento è il succedersi delle stagioni. Per me, in particolare, innovare significa conoscere la tradizione e adattarla alle esigenze dell'oggi, che suggeriscono di levare anziché aggiungere, di privilegiare la qualità alla quantità.