Nuovo diritto per la famiglia
È noto che il diritto si rivela tradizionalmente efficiente quando è chiamato a disciplinare rapporti che siano contraddistinti da interessi economici, mentre ha sempre incontrato non pochi ostacoli quando si è trattato di regolare le fattispecie proprie degli ambiti sociali e culturali di diverso genere: l'esempio che, con ogni probabilità, risulta più emblematico è quello dei rapporti famigliari, tanto che spesso si preferisce parlare non più di "diritto di famiglia", ma di "diritto della crisi della famiglia".
Proprio prendendo in considerazione quest'ultimo aspetto, non si può tacere che il concetto di famiglia è stato da sempre fortemente influenzato da fattori di matrice culturale, sociale ed economica che hanno condotto, soprattutto nella seconda parte del secolo scorso, a un sensibile mutamento del ruolo svolto dalla famiglia all'interno dei diversi ordinamenti giuridici. È così che, nel nostro ordinamento, si è passati da una concezione di famiglia di tipo istituzionale, all'interno della quale gli interessi dei componenti singolarmente considerati erano comunque subordinati rispetto a quelli del nucleo familiare nel suo insieme, a un diverso concetto, che è stato anche definito come di "famiglia-comunità", nella cui area viene dedicata maggiore attenzione alle prerogative individuali, e ciò sia nella relazione tra i coniugi sia in quella tra genitori e figli. Le nostre corti hanno gradualmente preso atto che la famiglia tradizionale si è evoluta, divenendo un luogo di autorealizzazione e di crescita dei suoi singoli componenti e non più una sfera all'interno della quale potevano verificarsi casi di compressione di diritti irrinunciabili del singolo. Seguendo il passo di questa evoluzione sociale e culturale anche la concezione giuridica della famiglia e dei rapporti che la governano ha subìto una trasformazione, dando origine anche a nuove figure di danno e, in particolare, al cosiddetto danno da illecito endofamiliare.I giudici hanno recentemente maturato una nuova consapevolezza, e cioè che i rimedi tipici del diritto di famiglia (la separazione dei coniugi, solo per fare un esempio) non si rivelano più sufficienti a fornire un'adeguata risposta a ogni caso di crisi dei rapporti coniugali e di filiazione; e proprio seguendo questa strada la giurisprudenza ha riconosciuto che, in aggiunta ai rimedi specifici previsti dal codice civile per la famiglia, vi possono essere casi nei quali è giusto concedere anche un risarcimento dei danni secondo il generale principio del neminem laedere. L'adulterio, dunque, integra sicuramente una violazione dell'obbligo di fedeltà imposto dal matrimonio, ma, in alcuni casi, può essere fonte di risarcimento del danno, soprattutto quando ne sia derivato un forte discredito per il coniuge che l'abbia subìto all'interno dell'ambiente in cui viveva. O ancora, i rimedi classici del diritto di famiglia non sono sufficienti a fare giustizia quando un coniuge abbia a lungo ignorato la schizofrenia dell'altro e, dopo un periodo di ricovero in ospedale, si sia rifiutato di riaccoglierlo in famiglia, affermando che questa aveva già trovato un suo nuovo equilibrio. Se, quindi, oggi può tranquillamente affermarsi che la responsabilità civile è ormai entrata nell'ambito familiare non bisogna però credere che tutte le crisi familiari diano automaticamente diritto a una tutela sul piano risarcitorio. In altre parole, deve in linea di principio escludersi che la semplice violazione dei doveri matrimoniali possa di per sé dare origine a un diritto al risarcimento del danno, ipotesi, quest'ultima, da riservare a "casi limite", superiori a una certa soglia di "gravità critica" e in relazione ai quali vanno accertati in giudizio sia l'effettiva ricorrenza di un danno (patrimoniale o non patrimoniale) sia la sussistenza di un nesso di causalità tra il pregiudizio lamentato e la condotta del familiare che si assume essere stata illecita.