Non sottovalutiamo l'India
Nel caso che riguarda i due fucilieri del Battaglione San Marco accusati di aver assassinato due pescatori indiani, la posizione del governo italiano è ferma nel sostenere l'esclusiva competenza giurisdizionale italiana poiché si tratterebbe di un fatto che coinvolge organi dello stato operanti nel contrasto alla pirateria sotto bandiera italiana e in acque internazionali.
Fin dal principio, l'Italia ha cercato di mantenere la vicenda a livello diplomatico, senza molti risultati, posto che l'India non ha esitato a esercitare la propria giurisdizione lasciando alle autorità locali pieno potere nonostante le proteste del nostro paese. L'esercizio della giurisdizione, sia essa civile o penale, è una delle massime espressioni della sovranità dello stato. Il conflitto di giurisdizione tra stati sovrani è un tipo ricorrente di controversia internazionale in caso di attività extraterritoriali di uno stato: in questo caso operazioni di polizia fuori dal territorio nazionale. La soluzione di queste controversie è tutt'altro che semplice perché in assenza di trattati internazionali che disciplinino specificamente la fattispecie si entra nel regno della consuetudine internazionale. Il contenuto della consuetudine varia nel tempo ed è determinato dal comportamento degli stati non sempre uniforme. Nel caso dei marò italiani, ad esempio, l'India al momento non sembra condividere la posizione italiana di considerare i militari a bordo di navi mercantili organi di uno stato. D'altra parte, lo stesso ministero degli Esteri italiano scrive che "la presenza di militari a bordo di navi mercantili è regolata da una specifica legge italiana che risponde anche alle esigenze delle risoluzioni delle Nazioni Unite in materia di lotta alla pirateria". Come si legge nel comunicato del ministero degli Esteri dello scorso 8 marzo, New Delhi non riconosce l'immunità ai militari impiegati a bordo delle navi in missioni antipirateria Ue o della Nato, perché l'accordo sui Vessel Protection Detachment non si applicherebbe a livello globale e quindi non costituisce alcuna base giuridica per l'India. Al contrario, secondo l'Italia, "per i peacekeeper che operano nel quadro di risoluzioni Onu, esiste il principio di immunità". Senza contare che le due Nazioni dissentono su un dato di fatto dirimente: se l'evento sia avvenuto in acque territoriali o internazionali. È ancora presto per una valutazione di natura giuridica dell'incidente diplomatico. Come ha opportunamente osservato il presidente della Repubblica, questo è il momento di un'azione "tenace e riservata sul piano diplomatico" riconoscendo il ruolo della magistratura indiana. Non è invece prematuro un giudizio sullo stato della politica estera del nostro paese che questa vicenda ha svelato. Attraverso la propria politica estera uno stato afferma il suo ruolo nella comunità internazionale. Superata la divisone in blocchi del mondo con la fine dell'Unione sovietica e della sua sfera di influenza, i rapporti di forza si sono ridisegnati sulla base del potere economico degli stati. Gli equilibri usciti dalla fine del secondo conflitto mondiale e che hanno trovato espressione nell'attribuzione del diritto di veto nel Consiglio di sicurezza dell'Onu non trova più rispondenza negli attuali equilibri di forza. Potenze economiche quali Brasile, India e Germania, nonostante il ruolo secondario in seno al Consiglio di sicurezza, hanno ormai un peso internazionale ben maggiore di Gran Bretagna e Francia, che appartengono al club delle cinque superpotenze da cui dipende l'uso della forza internazionale. L'Italia è sempre stata una potenza minore, ma dopo la caduta del muro di Berlino ha faticato più di altri a trovare una collocazione sullo scacchiere internazionale. In questa vicenda ciò che più colpisce non è una pretesa debolezza internazionale del nostro paese, quanto piuttosto la sottovalutazione della controparte. L'India è una potenza mondiale di peso ben maggiore del nostro, in piena espansione e desiderosa di affermare la propria sovranità. Dal momento in cui i nostri militari sono entrati nella sfera di controllo giurisdizionale dell'India, la stessa non ha fatto altro che esercitare la propria sovranità attivando gli strumenti domestici di esercizio della giurisdizione. Una soluzione diplomatica presuppone pacatezza nei toni e rispetto della controparte, la reazione sdegnata di un paese offeso dalla mancanza di rispetto del diritto di un altro stato sovrano non agevola un passo indietro dell'India, che diventa ogni giorno che passa più difficile. Bene ha fatto il nostro presidente della Repubblica a riconoscere il ruolo e la funzione dei giudici indiani. Se passa il messaggio che l'Italia ritiene l'India un paese non in grado di garantire un processo ai propri cittadini, le chance di successo si riducono ulteriormente. D'altra parte, cosa può temere l'India da uno scontro diplomatico con L'Italia? Nulla o quasi. L'Italia non è un partner economico strategico, né è abbastanza influente da spingere altri stati a rompere con l'India per una vicenda così circoscritta. L'unico strumento dell'Italia è attivare l'intervento dell'Unione europea. Purtroppo, la politica estera dell'Unione resta la cenerentola delle politiche europee. Lenta da attivare e subordinata al consenso unanime di 27 stati membri. Se nella trattativa diplomatica al posto o a fianco dell'Italia ci fosse l'Ue, senza dubbio l'India dovrebbe ripensare alla propria posizione. È ingeneroso accusare il governo tecnico del risultato di oltre un ventennio di disinteresse dei governi italiani verso la loro politica estera. La diplomazia italiana è stata concepita e gestita dai nostri politici, di ogni schieramento, come un apparato burocratico al loro servizio e dei cittadini all'estero, piuttosto che uno strumento di affermazione del nostro paese per veicolare e sostenere investimenti italiani nel mondo. Oggi ne vediamo le conseguenze. Tuttavia, quello che il governo tecnico potrebbe fare, anche in un momento di ristrettezze economiche, è sostenere il rafforzamento della politica estera europea. L'Italia potrebbe sfruttare questo raro momento di autorevolezza in Europa per spingere verso una maggiore integrazione in materia di politica estera e sicurezza comune. Prevedere un meccanismo automatico di intervento del servizio europeo per l'azione esterna quando è in gioco la protezione diplomatica di cittadini europei rafforzerebbe l'azione dei singoli stati, in particolare quelli meno forti internazionalmente quali l'Italia.