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Nella lotta al traffico di opere d'arte serve anche la deontologia

, di Manlio Frigo - docente di diritto internazionale e comunitario alla Bocconi e ordinario di diritto internazionale all'Università degli studi di Milano
I codici di condotta sono efficaci almeno quanto le leggi

L'Italia viene spesso definita un museo a cielo aperto, il che, a patto di lasciare per un momento da parte taluni orrorifici sviluppi urbanistici prodotti negli ultimi 50 anni, è senza dubbio vero. Statistiche alla mano si tratta anche di uno dei paesi più colpiti dal traffico illecito di beni culturali e di opere d'arte.

Questo fenomeno, secondo solo al traffico di stupefacenti quanto ai proventi che produce sul piano mondiale, è oggetto da tempo di iniziative di contrasto che hanno prodotto diversi accordi multilaterali per assicurare obblighi di protezione reciproca e politiche di restituzione. Si tratta di un settore in cui certe forme di sensibilità al mercato (dalle quali non sono stati esenti collezionisti privati ma anche importanti istituzioni museali) hanno contribuito ad alimentare scavi clandestini e spoliazioni selvagge. D'altra parte, la tutela del patrimonio è stata spesso interpretata nel nostro paese in chiave nazionalistica, ispirata a un rigoroso e indiscriminato mantenimento dei beni all'interno dei nostri confini. Il che, secondo molti, avrebbe finito per penalizzare la circolazione lecita senza tuttavia incidere significativamente sul traffico clandestino.

Da qualche tempo le cose stanno cambiando grazie alle iniziative di collaborazione internazionale, una mutata sensibilità dei direttori di musei circa la ricostruzione dell'origine dei beni acquisiti, la risonanza mondiale di alcune cause giudiziarie, talune innovazioni legislative interne riguardo alla politica dei prestiti. Alcuni importanti accordi tra il ministero dei Beni e delle attività culturali e alcuni musei stranieri di primaria importanza hanno consentito che opere d'arte di primissimo piano (come il celebre cratere di Eufonio o gli argenti di Morgantina) fossero restituite all'Italia. Si sono altresì realizzate forme di cooperazione con gli stessi musei, volte alla realizzazione congiunta di scavi, di iniziative di studio e di restauro, di mostre ed esposizioni.

Una parte del merito deve essere riconosciuta all'effetto diretto e indiretto di quelle norme deontologiche che hanno ormai assunto un ruolo non più trascurabile. È proprio a strumenti quali codici di condotta e regole deontologiche ormai frequentemente predisposte da organizzazioni internazionali, istituzioni, enti pubblici e privati, federazioni internazionali e nazionali che si deve ormai dedicare un'attenzione particolare. Gli ambiti di produzione vanno dall'Unesco, all'Icom, dalla Cinoa (Confédération internationale des négociants en æuvres d'art) all'Aam (American Association of Museums), all'Aamd (Association of Art Museum Directors), dall'Eaa (European Association of Archaeologists), all'Ica (International Council on Archives).

Tali regole, benché prive della forza coercitiva delle norme giuridiche, rivestono una funzione sempre più rilevante. Accanto alle Guidelines dell'Aam, che ha prodotto tre codici di rilievo, nonché dell'Aamd, che ha adottato le Guidelines on Loans of Antiquities and Ancient Art nel 2006, si deve ricordare l'attività dell'International Council of Museums (Icom), ong di musei e di operatori museali e l'adozione del Code of Professional Ethics, contenente i principi ai quali dovrebbero ispirarsi tutti gli operatori del settore per evitare le acquisizioni di beni e materiali di provenienza illecita o dubbia.

Come ben sanno gli operatori del settore, la garanzia della trasparenza delle transazioni riguardanti le opere d'arte non può ormai non dipendere anche dal rispetto di queste regole.