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Milano si aggiudica l'Expo. Del 1906

, di Giorgio Bigatti - docente di storia economica alla Bocconi
Quando il capoluogo lombardo, allora una delle capitali della modernità e città in grande effervescenza, ospitò e seppe onorare l'esposizione universale

Era una Milano in piena effervescenza quella che nella primavera del 1906 si preparava ad accogliere le folle di visitatori attratte dalla grande Esposizione internazionale del Sempione. Venticinque anni dopo quella, fortunata, del 1881, che forse per il suo essere nazionale era stata il crogiuolo entro cui si erano forgiati l'immagine della "città più città d'Italia", secondo la ben nota definizione di Giovanni Verga, e il mito della 'capitale morale' in contrapposizione a Roma, città eterna, ma forse per questo ingessata nel passato.

Da allora la città era molto cambiata. La 'nuova Milano', sospinta dal "piccone demolitore" e dalla voracità della rendita, si faceva strada nel corpo stesso del vecchio tessuto edilizio di origine medievale. Nello stesso tempo, anno dopo anno, i confini dell'abitato si dilatavano superando ogni precedente limite. E la città, specialmente nelle fasce esterne, appariva segnata dalla presenza di ciminiere sempre più alte e di colossali cantieri, in una sorta di prefigurazione della famosa immagine boccioniana della "città che sale".

Pur ospitando un numero relativamente limitato di opifici e preferendo specchiarsi nelle istituzioni finanziarie, dalle banche alla Borsa, che ne attestavano il primato economico, la Milano di inizio Novecento aveva nell'industria il motore del proprio sviluppo.

Tradizionalmente, l'industria milanese era caratterizzata dalla varietà e da un tessuto produttivo minuto "febbrilmente attivo" sia nel tessile e nella moda, sia nella meccanica e nella minuteria metallica, un pulviscolo di attività più simili a laboratori artigiani che a moderne industrie. Tuttavia, l'arrivo dell'energia elettrica aveva dischiuso le porte della città, o meglio della sua fascia periferica, alla presenza della grande industria, saturando rapidamente le possibilità di ulteriore espansione. Per questo attorno al 1906 alcune grandi imprese milanesi, Breda, Ercole Marelli, Falck e Pirelli, decisero di spostare il loro baricentro produttivo all'esterno, nella vicina Sesto San Giovanni, favorita dalla posizione lungo l'asse ferroviario del Gottardo, da una disponibilità di aree a basso costo e dalla possibilità di attingere manodopera dalle campagne.

Su questo sfondo dinamico, la decisione di promuovere una grande esposizione per celebrare l'apertura del valico ferroviario del Sempione valse a rafforzare l'immagine internazionale della città, sancendo il suo pieno inserimento nel ristretto novero delle capitali europee della modernità.

L'esposizione non fu solo un grande spettacolo: in quei mesi, Milano fu un laboratorio di idee, riunendo studiosi di ogni parte del mondo, chiamati a confrontarsi su temi di grande rilevanza per una società in rapida trasformazione. Vi si tenne il primo convegno internazionale di medicina del lavoro, si discusse di lotta alla disoccupazione, di migrazioni, di navigazione interna e sviluppo delle infrastrutture. E maturarono scelte a lungo dibattute in materia di edilizia popolare e di pubblici servizi, come la coraggiosa decisione della giunta liberale presieduta da Ettore Ponti di dar vita all'Azienda elettrica municipale, intaccando il monopolio della Edison, altra impresa "milanesissima".

Oggi è molto difficile dire quale sia l'anima di una città che, a differenza di un tempo, non ha più nell'industria e nella tecnica i propri codici identitari. "Milano in questo momento è muta. Sta cambiando discorso", ha scritto Aldo Nove. Il futuro appare incerto. A pochi entusiasti cantori del presente si oppone il disinganno dei molti per i quali Milano e le sue classi dirigenti paiono aver smarrito progettualità e capacità di dare un senso condiviso alle tante iniziative che, pur singolarmente rilevanti, non riescono a comporsi in un'idea di città, come notava, Gillo Dorfles in un recente intervento sul Sole 24 Ore (2 dicembre 2007).

Non è certo questa la sede per tentare affrettate diagnosi. Si può solo osservare che forse proprio l'Expo potrebbe essere l'occasione per invertire una tendenza all'atomizzazione restituendo alla città la capacità di far convergere attorno a una grande iniziativa le energie di cui Milano, pur fra mille contraddizioni, mostra di essere ancora ricca.