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Metti un cereale nel motore. E i prezzi schizzano

, di Augusto Ninni - direttore di ricerca presso lo Iefe, l'Istituto di economia e politica dell'energia e dell'ambiente della Bocconi
Ma i biocarburanti assorbono meno del 5% della produzione. L’inflazione è da imputare alla speculazione

L'aumento dei prezzi mondiali dei prodotti alimentari sta diventando preoccupante negli ultimi tempi. Tra il 2006 e il 2007 l'indice medio è cresciuto del 23,6%, ma nei primi 3 mesi del 2008 gli incrementi medi mensili sono stati del 5,7%, con punte del 9% per i cereali e del 6,8% per gli olii e grassi (Fao).

Questo aumento è da attribuire a tre cause principali. Anzitutto, l'aumento della domanda, dovuto soprattutto alla crescita demografica, all'aumento del reddito e al cambiamento di modelli di consumo nei paesi emergenti, Cina e India in primo luogo, verso alimentazioni a maggior consumo di carne (che sottraggono terra alle coltivazioni per destinarle all'allevamento). In secondo luogo, la riduzione dell'offerta in alcuni dei principali paesi produttori, a causa di problemi quali siccità e ricostruzione di stock cautelativi. Infine, le politiche di sviluppo dei biocarburanti.

Altri due fattori incidono fortemente sul costo/prezzo dei prodotti alimentari: l'aumento del prezzo del petrolio, che entra nel loro costo di produzione attraverso i diserbanti e altri input intermedi, nonché nei costi di trasporto, e la domanda speculativa, innescata dall'aumento del prezzo del petrolio, che si scatena sui cereali come su altri beni rifugio. Se vi è un certo accordo sulla contemporaneità dei cinque fattori, non vi è però accordo sull' incidenza relativa.

Questo ha dato origine a una messa in stato d'accusa, ormai generalizzata, dei biocarburanti. Tuttavia, la responsabilità attribuita ai biocarburanti nella fase attuale di aumento dei prezzi dei cereali e delle altre produzioni alimentari è da ritenersi forse eccessiva. Nel caso dei cereali la domanda per biocarburanti è aumentata fortemente, ma questa destinazione conta solo per il 4,7% della produzione mondiale (quasi tutto per il mais negli Stati Uniti, dove lo sbocco energetico conta ormai per il 27 % del mercato), mentre l'output di olii di semi e di olio di palma è tuttora in gran parte indirizzato verso l'industria alimentare e quella dei detersivi. Problemi di land competition fra biocarburanti e cibo possono diventare significativi in futuro, con conseguente rialzo dei prezzi relativi degli alimentari, se permangono e si accentuano i fattori di domanda (inclusa la diffusione di modelli di consumo 'americani'). Tuttavia, la land competition globale fra biocarburanti e cibo dovrebbe in futuro ridursi sensibilmente grazie allo sviluppo delle nuove tecnologie (biocarburanti di seconda generazione, la cui resa in energia per unità di terreno è nettamente superiore, grazie a un esteso utilizzo degli scarti) e diffondendo specie già esistenti ma non in concorrenza con i prodotti alimentari, come la jatropha indiana, che cresce anche su terreni semiaridi, su cui piante a destinazione alimentare non attecchiscono.

Lo sviluppo di questi biocarburanti è accelerato sia dalle politiche pubbliche di incentivo (nel caso della Ue, le proposte di Direttive dello scorso gennaio sulla promozione dell'uso di energia da fonti rinnovabili prevedono che l'apporto da biocarburanti ottenuti da rifiuti, residui, materiale cellulosico non alimentare e materiale ligno-cellulosico sia conteggiato per il doppio, rispetto all'obbligo del 10%), sia dal calcolo economico delle imprese: aziende chimiche e petrolifere vi stanno investendo massicciamente da alcuni anni e dato che i feed-stocks rappresentano circa il 70-80% del costo di produzione di biocarburanti, più cresce il prezzo delle materie prime alimentari, più cresce il prezzo del biocarburante, che peraltro richiede condizioni di certezza.

In ogni caso, la crescita attuale dei prezzi dei prodotti alimentari ha colto un po' di sorpresa gli osservatori: segno probabile che la componente inattesa (e quindi speculativa) nell'aumento dei prezzi è rilevante e dovrebbe essere riassorbita nel medio periodo. Ma non tutto il male vien per nuocere: secondo il Financial Times, la produzione agricola afgana si sta in parte spostando dai papaveri da oppio ai cereali, proprio grazie alla crescita del prezzo di questi ultimi!