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Ma i cinesi ci fanno davvero le scarpe?

, di Elisabetta Marafioti - SDA Bocconi fellow
Calzature su misura e sostenibili, ma anche nuovi modelli di business: la risposta europea all'invasione gialla passa anche per l'innovazione

I giornali in questo periodo riportano quasi quotidianamente denunce e analisi da parte di aziende europee nei confronti di imprese asiatiche, quasi sempre cinesi, accusate di concorrenza scorretta. Nel caso del settore calzaturiero si è assistito a una vera e propria invasione commerciale che ha portato la Commissione europea a introdurre misure antidumping temporanee. La penetrazione commerciale delle calzature asiatiche è avvenuta in maniera graduale ma ha subito un'accelerazione negli ultimi 5 anni. Se alla fine degli anni '80 il 50% della produzione mondiale di calzature proveniva dall'Asia, nel 2005 è circa l'80% .

Anche se solo poco più della metà della produzione locale varca i confini della Cina, è evidente che la produzione cinese si sta sostituendo a quella europea; la crescita dei volumi è stata accompagnata da un aumento del livello qualitativo dei prodotti. Anche il mito che i cinesi potessero produrre solo calzature di qualità bassa e medio-bassa è stato sfatato, e non solo perché la qualità complessiva delle produzioni è aumentata, peraltro non senza il supporto tecnologico offerto dai produttori italiani di macchinari che negli ultimi dieci anni hanno dedicato una particolare attenzione ai mercati dell'Estremo oriente. Va, infatti, considerato che il basso costo della manodopera consente di ottenere prodotti di qualità elevata grazie alla possibilità di impiegare tempi di lavorazione che nei paesi industrializzati renderebbero il prodotto fuori mercato perché troppo costoso.

La richiesta di misure antidumping per proteggere l'industria calzaturiera europea è stata infine adottata dalla Commissione europea dopo un'accurata investigazione che ha evidenziato che la riduzione del 30% della produzione europea di calzature rilevata a partire dal 2001 è stata il risultato del crollo del prezzo dei prodotti importati che ha portato a triplicare i volumi di scarpe importate da Cina e Vietnam nello stesso periodo. Prima del 2001 la produzione europea di calzature era in discesa ma a un tasso più contenuto, pari al 13% all'anno. L'effetto sui margini delle aziende, sull'occupazione e sulla sopravvivenza delle imprese calzaturiere stesse ha acceso l'allarme. Al di là delle considerazioni che si potrebbero fare in merito alla reale efficacia di misure protezionistiche quali quelle invocate e adottate a livello comunitario, la via per recuperare competitività sembra passare attraverso il ripensamento del modello di business e l'innovazione attuata a 360 gradi. Un esempio emblematico di impresa che sia riuscita a percorrere tale strada con successo è rappresentato da Geox. L'impresa veneta ha un modello di business che si fonda sull'outsourcing nell'Est europeo e in Asia orientale e serve oltre 60 paesi con 230 negozi monobrand e 8.000 multibrand. Ma Geox non è l'unico esempio vincente che si può citare. Altre iniziative riguardano singole imprese ma anche istituzioni sovrannazionali. Nike e Marc Newson hanno lanciato progetti di innovazione del prodotto e dei processi produttivi: calzature con elevato contenuto di design che possono essere prodotte in mini-fabbriche e quasi assemblate nel retro del negozio in cui avviene la vendita. La semplificazione del processo produttivo così ottenuta dovrebbe anche consentire di produrre le scarpe nei paesi occidentali.

Euroshoe è un consorzio europeo che ha come obiettivo l'adozione dell'approccio mass customization alla produzione di calzature. Tale concezione ribalta la prospettiva tipica dei settori manifatturieri mettendo i consumatori al centro. La produzione di scarpe su misura dovrebbe migliorare la proposizione di valore offerta al cliente e nel contempo consentire un recupero delle forti inefficienze tipiche del sistema distributivo calzaturiero.

Un ulteriore progetto in corso è quello relativo alla calzatura sostenibile: 12 miliardi di scarpe all'anno vengono prodotte in tutto il mondo e una quantità quasi identica di calzature viene gettata via, inquinando falde acquifere e contaminando ambienti naturali. La ricerca di materiali ecologici e riciclabili e processi produttivi che partano dal riciclaggio di materiali utilizzati sembra un'altra promettente strada. Aequa è il primo esempio di calzatura prodotta prevalentemente con materiali riciclati e recuperati e al termine del suo ciclo di vita può essere trasformata per ottenere materiali per pavimentazione. Anche sul fronte della funzionalità si stanno orientando gli sforzi di innovazione: Adidas 1 incorpora una suola attiva che modifica la sua consistenza e rigidità per meglio rispondere alle sollecitazioni del piede in maniera intelligente.

Il futuro delle calzature europee sembra risiedere nella capacità di differenziare facendo leva sulla capacità di creare valore aggiunto per il consumatore mediante un'azione sinergica che riguardi il design, la funzionalità e il processo produttivo.